Manuale di primo soccorso per attori e aspiranti attori
Asso Paolo
Dino Audino Editore
Roma, 2004; br., pp. 144, cm 12x17.
(Taccuini. 4).
collana: Taccuini
ISBN: 88-86350-78-3 - EAN13: 9788886350785
Soggetto: Cinema
Periodo: Nessun Periodo
Luoghi: Nessun Luogo
Testo in:
Peso: 0.129 kg
Questo manuale si rivolge principalmente all'attore, a chi pensa di esserlo già, e a chi aspira a diventarlo. Chi lavora come attore può forse risentirsi del fatto di essere equiparato al principiante, ma ho una buona ragione per non fare, qui, una distinzione di massima tra queste due categorie, e fra tutte le possibili categorie intermedie. È possibile che chi lavora o ha lavorato come attore in questo paese al giorno d'oggi senta dentro di sé che la maggior parte delle proprie aspirazioni non si sono avverate, forse per colpa sua, o forse per la condizione del teatro e del cinema di questo paese. Se non lo sente, non credo che abbia comprato questo manuale. Se lo sente ma si vergogna di un sentimento che disonora la sua decorosa carriera passata e l'orgoglio corporativo, forse l'ha comprato di nascosto e non lo lascia in giro per casa. Ma se lo sta sfogliando perché l'ha trovato in casa di un collega sbadato, e vuole indignarsi perché si sente trattato come un dilettante, può farlo tranquillamente: è gratis. Per la stessa ragione, però, non sono tenuto a tener conto della sua opinione. A ogni modo, spero che chi ha già un'esperienza come attore possa trovare utili le indicazioni contenute in questo libro, se non altro come stimolo della propria ambizione. Questo è un manuale pratico. Personalmente, io credo nella teoria. Ho sempre trovato più facile passare dalla teoria alla pratica che rimediare ai disastri della pratica improvvisando una teoria all'ultimo momento. Tuttavia, un manuale pratico non rinnega nessuna teoria e nessun ideale: postula semplicemente una situazione di emergenza, temporanea o permanente, e suggerisce dei modi per cominciare a fronteggiarla. Se l'emergenza è quella di chi sente di voler recitare ma non sa da che parte cominciare, oppure quella di chi si è trovato a recitare ma non sa bene perché, e che cosa dovrebbe fare per proseguire con dignità, i possibili rimedi non cambiano molto. Essi si basano comunque sulla comprensione della propria situazione, di quella del mondo di cui ci si è trovati a far parte, e sulla logica [...]
Dal Capitolo Primo Apprendistato e formazione permanente
1) Talento e apprendimento
Si può imparare a recitare? è una domanda sibillina. Se si risponde sì, si rischia di sottintendere che tutti possono fare l'attore, il che non è vero; se si risponde no si rischia di sottintendere che per chi possiede un minimo di vocazione o talento non è necessario sottoporsi ad una formazione, il che è ancora meno vero. Ma anche se si specificasse che solo chi ha talento può imparare la tecnica che lo completa, non si chiarirebbe il rapporto tra talento e formazione: sembrerebbe che la persona di talento riesca semplicemente ad animare una tecnica appresa, di per sé inerte. È così che spesso viene spiegata la questione del talento, e di conseguenza della formazione scolastica.
Ho già accennato al fatto che il procedimento dell'artista consiste in una serie di modificazioni di se stesso, per mettersi in grado di produrre qualcosa. A ben guardare, ciò che chiamiamo apprendimento, in qualsiasi contesto, si basa sullo stesso principio: tutto l'apprendimento è modificazione di sé. Questo è un concetto fisiologico, prima che psicologico. Nessuno apprende incamerando dati che poi tira fuori a comando. Questo lo fa un computer (e probabilmente non per molto ancora, visto che per migliorare le prestazioni dei computer si stanno introducendo nell'hardware delle componenti organiche). Ma un computer (per ora) codifica la realtà secondo un linguaggio binario, molto semplice ma estremamente antieconomico, perché prevede un'immensa quantità di segni. Noi, invece, codifichiamo la realtà attraverso le nostre reazioni alla realtà stessa. In altre parole, una parte di noi stessi registra le minime reazioni fisiche che si producono durante un'esperienza, e tramite questa consapevolezza in atto (che i neurobiologi chiamano feed-back) altera gli equilibri fisici del sistema nervoso. Semplificando, si può dire che apprendere tramite l'esperienza (e non c'è altro modo) significa creare e distruggere fisicamente dei percorsi nella nostra rete neuronale. Questo per dire che la persona che ha appreso un'abilità specifica, in un certo senso non è più, concretamente, la persona di prima. Ma non bisogna aver paura di questo: la persona sana si identifica proprio con questo incessante divenire. È un po' come il fiume che non è mai lo stesso; se però fosse sempre lo stesso non sarebbe un fiume, ma uno stagno. Per stiracchiare un po' la metafora, si può dire che apprendere male è come creare delle pozze stagnanti nelle anse del fiume.
Poiché apprendere una tecnica specifica significa sottoporsi ad una serie di sottili e progressive modificazioni, e soprattutto mantenere la flessibilità psicofisica necessaria per affrontare le sempre nuove situazioni nelle quali il nostro mestiere ci metterà, credo che la miglior definizione di talento sia: la propensione, tanto volontaria quanto inconscia, a sopportare quelle specifiche modificazioni e quella flessibilità.
Questa propensione, come qualunque qualità morale, può essere più o meno debole, e più o meno ostacolata dalle circostanze esterne o dalla storia personale della singola persona. Nonostante il mistero che circonda il talento e il suo rapporto con la tecnica, molte istruttive osservazioni sono sempre state fatte sulla decadenza del talento di un attore, sul fatto che una volta recitava meglio, era più fresco, aveva qualcosa di più affascinante. C'è un vecchio termine teatrale, in italiano, che connota crudelmente questo tipo di decadenza: imbolsire - come i cani e i cavalli. Dall'altro lato, spesso ci capita di vedere una persona con delle doti personali che vedremmo volentieri esibite in scena, e ci chiediamo istintivamente se quella persona potrebbe essere un buon attore (io, almeno, me lo chiedo). Il mio dentista, ad esempio, possiede molte delle caratteristiche che vorrei vedere negli attori. Mi piace quella sorta di curiosità e vivacità che traspare dai suoi gesti, che pure sono sempre seri, sicuri e coscienziosi. Ispira fiducia senza copiare modelli paternalistici. So che legge e ascolta musica. Mi piace il modo in cui collabora con la sua assistente, che è molto simile a lui, per sensibilità, cordialità e capacità professionali; mi piace il loro livello di ascolto reciproco, il clima che riescono a creare. Ora, non ha senso pensare che il mio dentista sia un attore mancato, che sia un peccato che non abbia rinunciato a una solida e remunerativa carriera per abbracciare gli ideali dell'arte. Ma ha senso pensare che se si fornisce il giusto modello di apprendimento e si preserva in questo modo la dignità del mestiere dell'attore, molte più persone con le qualità umane del mio dentista saranno attratte dalla professione di attore. È questo lo scopo fondamentale dell'offerta di un apprendistato artistico, specie in un'arte come la recitazione, che si basa sulla collaborazione di un gran numero di artisti.
Quel difficile equilibrio tra narcisismo e socialità che ho indicato più sopra, è l'oggetto specifico del training attoriale, e perseguirlo mette alla prova le vostre reali motivazioni, cioè l'essenza del vostro talento. Quindi, se da un lato l'apprendistato deve cercare di creare occasioni perché sempre più persone chiariscano a se stesse il proprio talento e scelgano la professione di attore, dall'altro deve porvi in una condizione che smascheri la vostra falsa vocazione, e vi faccia comprendere il più presto possibile che state solo rimandando la scelta del vostro vero mestiere (il dentista, ad esempio). Altrimenti avremo solo cattivi attori e cattivi dentisti.
[...]
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