Giotto e la sua eredità
Il Sole 24 Ore Libri
Milano, 2007; br., pp. 385, ill. col., tavv. col., cm 23x28,5.
(I grandi maestri dell'arte. L'artista e il suo tempo. 3).
collana: I grandi maestri dell'arte. L'artista e il suo tempo
Soggetto: Pittura e Disegno - Monografie
Periodo: 1400-1800 (XV-XVIII) Rinascimento
Testo in:
Peso: 2.05 kg
Già i suoi contemporanei si accorsero della novità dirompente costituita, a cavallo tra Duecento e Trecento, dalla pittura di Giotto. Alle figure da lui dipinte si potrebbero riferire i versi con cui Dante descrive, nel XII canto del Purgatorio, gli esempi del peccato di superbia raffigurati sul pavimento: "Morti li morti e i vivi parean vivi: / non vide mei di me chi vide il vero / quant'io calcai, fin che chinato givi". E molti ricorderanno che, nel canto precedente, il poeta sanziona che Giotto ha raggiunto "il grido", relegando nell'oblio quel Cimabue che fu quasi certamente il suo maestro. La riconquista della realtà in poesia e in pittura, che vede in Dante e in Giotto due protagonisti più o meno coetanei e due percorsi paralleli, è uno dei fenomeni di maggiore spicco della storia italiana. Giotto, fiorentino d'origine, lavorò in parecchie città italiane, e dovunque si svilupparono tradizioni pittoriche che gli sono debitrici: da Roma ad Assisi, da Rimini a Padova, da Bologna a Napoli. A fare scuola fu soprattutto la sua capacità di restituire alla pittura la terza dimensione e la sua abilità nel costruire spazi coerenti. Anche gli artisti che mantennero un legame con la tradizione bizantina, come Paolo Veneziano o il senese Duccio di Buoninsegna, dovettero fare i conti con lui. Si è perciò voluto parlare di una 'eredità' di Giotto, senza limitarsi a cercarne i riflessi soltanto nei più stretti seguaci. Questa eredità si segue bene lungo tutto il secolo e trova esempi anche in epoca tardogotica, quando molti pittori d'Oltralpe attingono ancora, per alcune loro composizioni, a modelli italiani di ascendenza giottesca.