Un inno alla pace di Carlo Maria Cardano O.S.B. (1841 Altamura-1925 Colombo). Il manoscritto «Quattro anni di mie sofferenze» donato alla Biblioteca Capitolare Finia di Gravina in Puglia
Rubbettino Editore
Soveria Mannelli, 2024; br., pp. 132, cm 17x24.
(Varia).
collana: Varia
ISBN: 88-498-8150-9
- EAN13: 9788849881509
Soggetto: Società e Tradizioni
Periodo: 1800-1960 (XIX-XX) Moderno,1960- Contemporaneo
Extra: Religione e Arte Religiosa
Testo in:
Peso: 0.25 kg
Non tutti i santi sono in calendario. Dire che la testimonianza civile e spirituale di Carlo Maria Cardano è straordinaria risulta riduttivo a chiunque legga il racconto della sua militanza nell'esercito borbonico contro Garibaldi e le milizie sabaude, o il diario di quasi quattro anni braccato dalle "guardie di sicurezza", nascosto in una fetida cisterna naturale infestata da insetti e roditori di varie specie, o ancora la fuga e gli studi privati a Napoli sotto falso nome, assistito da un altro sacerdote pugliese legittimista. In seguito, nel 1871, vi fu la partenza per Ceylon (oggi Sri Lanka), accompagnato da Ilarione Sillani, benedettino silvestrino. Nel 1872 fu ordinato sacerdote benedettino dallo stesso Vescovo Sillani e nel Ceylon rimase per cinquantaquattro anni di appassionata e feconda vita missionaria al servizio della Pace. A Ceylon si spense nel 1925. Era nato ad Altamura nel 1841. Nel 1921 Giacomo della Chiesa, Papa Benedetto XV, lo aveva nominato Missionario Apostolico, raccogliendo l'eco del "decano dei missionari" - appellativo di cui godeva Padre Cardano nelle diverse missioni singalesi - e riconoscendogli il merito della autentica missione di pace. Nelle lettere ai familiari Padre Cardano insiste sugli orrori della guerra (come un richiamo ai Racconti di Sebastopoli di Tolstoj) ed esalta l'appello fervente alla Pace di Benedetto XV, che più di ogni altro aveva condannato la guerra, bollandola come "inutile strage". Quella condanna rimbomba oggi nelle aule dei potentati, sapremo con quale efficacia. Prefazione di Malcolm Ranjith. Premessa di Saverio Paternoster. Saluto di Giuseppe Russo