Tiberio Tinelli. "Pittore e Cavaliere". (1587-1639)
Edizioni della Laguna
Mariano del Friuli, 2004; cartonato, pp. 216, ill. b/n, tavv. col., cm 22x30.
(Monografie di "Notizie da Palazzo Albani". 1).
collana: Monografie di "Notizie da Palazzo Albani"
ISBN: 88-8345-185-6
- EAN13: 9788883451850
Soggetto: Pittura e Disegno - Monografie,Saggi (Arte o Architettura)
Periodo: 1400-1800 (XV-XVIII) Rinascimento
Luoghi: Europa
Testo in:
Peso: 1.32 kg
TIBERIO TINELLI "PITTORE E CAVALIERE" In questo libro appare per la prima volta riconsiderato il veneziano Tiberio Tinelli, "Pittore e Cavaliere", artista tanto noto ed apprezzato ai suoi tempi, quanto misconosciuto nei secoli seguenti. Un pittore che ha perso, nella considerazione della letteratura specialistica, alcuni dei suoi dipinti più importanti ed acquisito, per contro, attribuzioni di pezzi che nessuno vorrebbe aver dipinto. Un caso critico davvero interessante. Specialista del ritratto, fatto non troppo comune nella produzione del nostro paese e praticamente unico fra i pittori veneziani del suo tempo, Tinelli opera nell'epoca in cui si definiscono, in campo europeo, quei canoni della grande ritrattistica che impronteranno tutto il secolo, risultando perfettamente integrato proprio in una dimensione di cultura internazionale, e accostando i suoi modi al più grande degli specialisti contemporanei: Anton van Dyck. Nel complesso contesto lagunare secentesco s'inserisce la cultura in qualche modo libertina di Tinelli, amico e frequentatore dei più importanti esponenti dell'Accademia degli Incogniti di Giovan Francesco Loredan, molti dei quali divennero soggetti di suoi dipinti, altri, o gli stessi, ne trasmisero in diretta' le informazioni e gli elogi. Ma le sue frequentazioni internazionali seguono anche altri percorsi, primo d'ogni altro, il passo' degli artisti. A Venezia si recano verosimilmente più volte Rubens, Van Dyck, Simon Vouet e Velásquez; e nel panorama delle presenze europee si rivela particolarmente importante la colonia d'uomini d'affari e colti trafficanti "fiamminghi", da Daniel Nys a Abraham Heirmans a Jan Reynst, a van Uffel che il pittore certamente conobbe e che furono il tramite della sua confidenza con le opere di Van Dyck. Infatti quella consapevolezza del proprio ruolo presente nelle opere del fiammingo, denunciata dalla postura, dai dettagli del raffinato vestiario e dall'ambientazione, quella sicurezza, appena mitigata da un velo di spleen nello sguardo, incomincia a occhieggiare anche nei ritratti di Tinelli degli anni Venti, divenendone un po'alla volta una sorta di cifra, in specie nelle numerose rappresentazioni dei patrizi del suo tempo, che raggiunge il suo vertice nella resa straordinaria del Ludovico Widmann di Washington. È peraltro certo che già dai primissimi anni Venti, come testimoniato dal Libretto dei conti, produceva piccoli ritratti su rame, in pratica miniature, di netto gusto internazionale. Fu in quegli anni che fece la conoscenza, divenne maestro e per un breve periodo coniuge di quella che doveva sopravvivergli a lungo ed era destinata a diventare la più celebrata miniaturista del secolo, Giovanna Garzoni. La scoperta di questo risvolto della vita dei due pittori, il ritrattista amato e riconosciuto dai potenti, e infine nominato Cavaliere dalla corona francese, e la casta e umbratile esecutrice di fiori e deliziose decorazioni presso le corti italiane, è uno dei capitoli più interessanti del presente libro. Su carte d'archivio viene ricostruita la storia di un matrimonio bislacco, con tutta probabilità mai consumato. Sulla base della debole traccia delle dicerie letterarie, che insinuavano il dubbio di una certa confidenza di Tinelli con libri proibiti e con pratiche di magia, la ricerca archivistica ha portato alla luce un faldone del Sant'Uffizio da cui emerge un'intera istruttoria di un processo per stregoneria, intentato dal padre della sposa, in apparenza stregata e soggiogata da Tinelli, che apre uno spaccato assai gustoso di certa Venezia dell'epoca, con religiosi severi, testimoni mendaci o reticenti, reliquie, anelli stregati, piante incantatrici. È singolare come questa intricata vicenda assomigli alle trame di un genere letterario che a Venezia incominciava a prendere piede proprio in quegli anni: il romanzo di avventura, spesso, come si sostiene, calco non troppo accurato di precedenti ellenistici, nel quale appunto abbondavano tradimenti, vessazioni, stregonerie e fughe. È sorprendente che, come in questo libro è ben argomentato, un velo di silenzio abbia fatto sparire dalle testimonianze ufficiali e da quelle letterarie qualsiasi cenno ai dettagli davvero bizzarri di quella storia incresciosa, mentre viene tramandata una versione dei fatti che allude alle pene d'amore di Tiberio per un matrimonio mal riuscito.