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Canaletto e la veduta

Il Sole 24 Ore Libri

Milano, 2007; br., pp. 384, ill. col., tavv. col., cm 23x28,5.
(I grandi maestri dell'arte. L'artista e il suo tempo. 10).

collana: I grandi maestri dell'arte. L'artista e il suo tempo

Soggetto: Pittura e Disegno - Monografie

Periodo: 1400-1800 (XV-XVIII) Rinascimento

Testo in: testo in  italiano  

Peso: 2.05 kg


Il Settecento, l'ultimo secolo di assoluto splendore della civiltà artistica italiana, un lungo tramonto che, com'è stato detto, illuminò per cent'anni il cielo di tutta Europa, ebbe nella pittura di vedute e negli artisti che la praticarono uno dei suoi punti di forza. Genere laico per eccellenza, congeniale a un secolo che della laicità aveva fatto il proprio credo, la veduta topografica, ovvero la rappresentazione ben riconoscibile di luoghi determinati, trattata con sussiego dalla cultura accademica contemporanea, incontrò viceversa un favore senza riserve presso la committenza più selezionata: in prevalenza, quella internazionale dei viaggiatori del Grand Tour. Le sue origini, ancora seicentesche, non erano veneziane, ma fu a Venezia e per mezzo di artisti veneziani che essa sorti gli esiti più alti. Canaletto, sostenuto dall'intraprendenza di un singolare residente inglese presso la Serenissima, Joseph Smith, più un 'agente' che un protettore, ne fu il protagonista su scala europea, elaborandone un'accezione nella quale brilla, in senso proprio, il lume della ragione; e tale dunque da assumersi a buon diritto fra le più significative manifestazioni, tout-court, del pensiero illuminista. Se l'iniziatore a Venezia era stato Luca Carlevarijs, artista non eccelso ma importante per gli sviluppi veneziani del genere, prima ancora di lui, all'olandese van Wittel era andato il merito di aver codificato a Roma, nell'ultimo ventennio del XVII secolo, questa specialità, praticata in seguito, sulla stessa ribalta, da personalità di spicco come il piacentino Pannini e, in modo del tutto particolare, da Giovan Battista Piranesi. La breve parabola artistica ed esistenziale di Michele Maneschi, per tornare a Venezia, non intaccò la supremazia canalettiana, rappresentandone tuttavia un'affascinante alternativa. Ma fu dalla costola dello stesso Canal che nacque l'altro sommo interprete del vedutismo settecentesco: Bernardo Belletto, suo nipote, la cui levatura e la cui originalità lo posero al pari dello zio sul piano dei risultati come su quello della fama, sebbene conquistata in altri contesti, le corti dell'Europa centrale, e secondo altre dinamiche. L'elegia-frenesia della dissoluzione, di Venezia e di un intero mondo, fu espressa infine dall'estro irrazionale di Francesco Guardi, ultimo grande vedutista veneziano col quale l'età d'oro della veduta si chiuse, ponendo fine, nel contempo, al ruolo guida esercitato per secoli dall'Italia nel campo dell'arte.

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