Mochi e i Farnese. I cavalli di Piacenza
Davide Gasparotto
Five Continents Editions
Milano, 2006; pp. 160, cm 24,5x28.
ISBN: 88-7439-254-0 - EAN13: 9788874392544
Soggetto: Scultura
Periodo: Nessun Periodo
Luoghi: Lombardia
Testo in:
Peso: 0.9 kg
A questi due capolavori assoluti della scultura italiana è interamente dedicato questo studio, che li presenta per la prima volta attraverso una campagna fotografica di grande respiro realizzata appositamente da Pino Guidolotti e attraverso un'ampia introduzione storico-critica di Davide Gasparotto, che ambisce a far piena luce sulla loro genesi, sui precedenti più significativi, sulla loro fortuna successiva, sul linguaggio figurativo dello scultore e sulla tecnica di fusione, ed infine su di una lettura articolata dei messaggi politico-ideologici che soprattutto gli straordinari rilievi delle basi trasmettevano all'osservatore contemporaneo. È possibile fare tutto questo grazie alla copiosa documentazione conservata specialmente negli Archivi di Stato di Parma e Piacenza, già in parte nota, e anche grazie all'accurato restauro condotto ormai quasi vent'anni fa da Giovanni Morigi, uno dei maggiori restauratori italiani nel campo della scultura in bronzo.
Il progetto dei due monumenti nacque infatti, per volontà della comunità piacentina ma senza dubbio su impulso del duca Ranuccio I, in un momento delicatissimo della vita della dinastia farnesiana, che avrebbe visto esplodere in quello stesso 1612 una congiura dei principali feudatari parmensi, duramente repressa nel sangue. La riaffermazione del potere e del prestigio della casata avvengono dunque attraverso la celebrazione delle doti di buon governo del duca regnante Ranuccio e delle doti guerriere e al contempo di difensore della fede del padre Alessandro, il celebre condottiero delle guerre di religione nei Paesi Bassi. L'artista mette al servizio di quest'idea tutta la sua cultura visiva e la sua straordinaria fantasia creativa, realizzando due monumenti nei quali è evidentissimo anche un processo di maturazione interna del suo linguaggio: attraverso la meditazione sui monumenti equestri di Giambologna, certo attentamente studiati negli anni della sua formazione a Firenze, e attraverso i documentati viaggi di studio a Padova, per vedere il Gattamelata di Donatello, e a Venezia per ammirare il Colleoni del Verrocchio, il Mochi riesce a dar vita a due opere dove l'intenso e quasi drammatico dinamismo non è mai disgiunto da un senso affilato del "disegno", di matrice tutta fiorentina, evidente soprattutto nei magnifici bassorilievi delle basi. Una scultura, insomma, dove appare palese anche la conoscenza delle esperienze della pittura contemporanea, dalle effusioni prebarocche di un Rubens alla stilizzata eleganza di un Gentileschi.
Il saggio introduttivo di Gasparotto traccia anche una breve storia del monumento equestre fino a Mochi e pone le due opere piacentine a confronto con le altre sculture dell'artista. Lo scritto di Morigi affronta la tecnica realizzativa dei due monumenti.
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