Al Limite del Teatro. Utopie, Progetti e Aporie nella Ricerca Teatrale degli Anni Sessanta e Settanta
Cue Press
Prefazione di Moni Ovadia.
Imola, 2016; br., pp. 272, 45 ill. b/n, cm 18x24.
(I Saggi).
collana: I Saggi
ISBN: 88-99737-19-3
- EAN13: 9788899737191
Soggetto: Teatro
Testo in:
Peso: 0.94 kg
Questo libro, riproposto a distanza di oltre trent'anni dalla sua prima edizione (1983), racconta di un teatro che «non c'è più» e che tuttavia non smette di riguardarci da vicino e di interrogarci ancora oggi. Riferendosi a eventi e tematiche teatrali che vanno, all'incirca, dal 1968 al 1977 (tanto per scegliere due date tutt'altro che casuali), è un libro di «storia», che parla di «fatti storici». O meglio, si tratta di una cronica, di una raccolta di mémoires pour servir alla storia del teatro di ricerca e sperimentazione nel secondo dopoguerra. In particolare, è tra la fine degli anni Sessanta e la prima metà dei Settanta che il Nuovo Teatro gioca con utopico fervore tutte le sue carte (ritrovandosele, spesso, bruciate in mano o trasformate in vuote parole d'ordine): ricerca collettiva, laboratorio, decentramento, teatro politico, partecipazione, lavoro di base, animazione, festa. In questi saggi - scritti in un arco di tempo che va dal 1973 al 1982 - l'attenzione di De Marinis si rivolge appunto, fra l'altro, alle esperienze più avanzate (più «al limite») e significative al riguardo (quelle di Grotowski e del suo Teatr Laboratorium, dell'Odin Teatret di Eugenio Barba, di Giuliano Scabia - cui è dedicato un intero capitolo -, di Peter Brook, del Living Theatre, del Movimento del Settantasette e altre ancora), con lo scopo di restituire - «a caldo» - alcuni momenti e di discuterne criticamente presupposti e implicazioni, precedenti e risonanze. Ricordando con rabbia, costringendoci (al di là di ogni facile atteggiamento liquidatorio ma anche al di fuori di qualsiasi intento agiografico o, peggio, furbescamente revivalistico) a rifare i conti con questi ormai lontani «dieci anni che (non) hanno cambiato il teatro». Per non ripetere il passato, e i suoi errori, bisogna conoscerlo. Questo si dice di solito per giustificare gli studi storici. E ciò dovrebbe essere vero a maggior ragione per un periodo tumultuoso e controverso, ma indiscutibilmente creativo anche e soprattutto in teatro, come gli anni Sessanta-Settanta, di cui questo libro ci parla con appassionata ma non arbitraria tendenziosità. Un suggestivo intervento di Moni Ovadia introduce il volume.