Il Capriccio Architettonico in Italia nel XVII e XVIII Secolo.
Associazione culturale EtGraphiae
Traduzione di Lollobrigida B.
Testo Italiano e Inglese.
Foligno, 2018; 3 voll., ril. in cofanetto, pp. 1200, 1500 ill. b/n e col., 1500 tavv. b/n e col., cm 25,5x34.
ISBN: 88-908684-6-5
- EAN13: 9788890868467
Soggetto: Pittura,Storia dell'architettura
Periodo: 1400-1800 (XV-XVIII) Rinascimento
Luoghi: Italia
Testo in:
Peso: 9.84 kg
Il "Capriccio architettonico" è un termine che compare già nella terminologia critica del Seicento, per indicare una o un insieme di "architetture", siano essi templi, palazzi, chiese o edifici vari, prevalentemente ispirati, più o meno realisticamente all'antico, quasi sempre animati da figure e spesso in connubio con elementi naturali paesaggistici. Una composizione in cui la realtà s'intreccia alla fantasia, al fine di generare una suggestione emotiva, oltre a una gratificazione per la 'giustezza' prospettica e tridimensionale della "inventiva" rappresentata, direttamente o parzialmente collegata a dati realistici. Infatti sin dalle sue prime esemplificazioni autonome, o almeno circoscritte o focalizzate sulle succitate tematiche, questo genere s'intrecciò con quello della "veduta", mediante l'inserzione di un nucleo realistico principale in un contesto fantasioso, o all'opposto un'architettura fantasiosa in un'ambientazione realistica. Da cui un succedersi e un alternarsi di sollecitazioni in cui realismo e fantasia, ragione e sentimento, finalità decorative ed interpretative sono coinvolte all'unisono. Comunque nell'excursus che mi sono prefisso in questa pubblicazione, per seguire l'evoluzione in Italia di tale genere o filone durante il Sei e Settecento, si possono fissare due apici emblematici, oltre che qualitativi, all'inizio e alla fine di tale processo, in Viviano Codazzi e Gian Paolo Panini. Parallelamente Roma colle sue vestigia architettoniche ed anche scultoree ne costituisce naturalmente l'epicentro, concreto ed ideale allo stesso tempo, quale fonte delle sue più dirette stimolazioni. Tuttavia mi sono subito reso conto che non era possibile circoscrivere la mia trattazione alle specifiche realizzazioni attuatesi nell'Urbe, dato che molti furono i protagonisti che operarono al di fuori di tale sede, ad iniziare dallo stesso Codazzi, la cui attività documentata iniziò a Napoli dove lavorò per almeno due decenni, prima di continuare finire la sua carriera a Roma. Così pure Giovanni Ghisolfi che costituì un tramite essenziale tra i due succitati protagonisti, veniva da Milano dove agì di certo più assiduamente, pur avendo tratto da Roma, dove soggiornò due volte, la linfa vitale della sua ispirazione. Le antichità romane, esaltate ulteriormente dalla crescente passione archeologica europea, continuarono naturalmente nel Settecento ad essere il fulcro dei nuovi cultori, specializzati o solo indirettamente coinvolti con le tematiche, fulcro di questa trattazione. Basterà ricordare gli interessi, solo momentanei o parzialmente ad esso collegati ma estremamente significativi dei grandi maestri veneti, dal Canaletto, sicuramente attivo a Roma intorno al 1719 quale scenografi teatrale, rimasto affascinato dalle sue vestigia, così come lo erano stati precedentemente Luca Carlevarjis e Marco Ricci, anche se una loro presenza a Roma non è documentata. Da Venezia la mia ricerca si è inesorabilmente allargata a Bologna e all'Emilia, coinvolgendo i miei interessi sull'ascendente esercitato dalla famiglia dei Bibiena, con le sue correlate esplicazioni anche sul terreno pittorico, con il Paltronieri, anch'egli inizialmente attratto dal fascino dell'Urbe, e il Bigari quali maggiori esponenti, contornati da un nutrito stuolo di pittori coniuganti la lezione dei Bibiena con il genere del 'Capriccio". Dall'Emilia e da una sicura prima educazione di timbro scenografico proveniva pure il piacentino Panini, col quale il filone delle architetture divenne specificatamente 'romano', assumendo però una dimensione europea, come attesta il suo seguito internazionale, particolarmente vivo in Francia, che ho seguito solo in alcuni pittori più significativi. Da Venezia venne infine a Roma, dove si plasmò ed operò, Gianbattista Piranesi, ultimo apporto più determinante al genere incentrato sulle antichità classiche in generale, e romane in particolare, delle quali egli si fece un strenuo paladino. Ma la sua opera fu esclusivamente incisoria, esulando quindi dal compito che mi ero prefisso.