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Quarantacinque milioni di antifascisti. Il voltafaccia di una nazione che non ha fatto i conti con il Ventennio

Arnoldo Mondadori Editore

Segrate, 2024; ril., pp. 228.
(Le Scie. Nuova Serie).

collana: Le Scie. Nuova Serie

ISBN: 88-04-78460-1 - EAN13: 9788804784609

Soggetto: 1800-1960 (XIX-XX) Moderno,Saggi Storici

Periodo: 1800-1960 (XIX-XX) Moderno,1960- Contemporaneo

Luoghi: Italia

Testo in: testo in  italiano  

Peso: 0.51 kg


«In Italia sino al 25 luglio c'erano 45 milioni di fascisti; dal giorno dopo, 45 milioni di antifascisti. Ma non mi risulta che l'Italia abbia 90 milioni di abitanti»: la frase attribuita a Winston Churchill fotografa con la forza del sarcasmo la condizione di un paese che nel 1940 è entrato in guerra inneggiando all'aggressività fascista e tre anni dopo se ne è prontamente dimenticato. Dopo la Conferenza di Pace di Parigi del 1946, tutte le responsabilità della disfatta vengono infatti attribuite esclusivamente a Mussolini, ai gerarchi e a Vittorio Emanuele III. Una volta eliminati i primi a Dongo e in piazzale Loreto ed esautorata la monarchia con il referendum del 2 giugno, l'Italia può riacquistare la sua presunta integrità politica e morale usando la Resistenza, opera di una minoranza, come alibi per assolversi dalle responsabilità del Ventennio. Quando i perdenti salgono sul carro dei vincitori la memoria storica viene spazzata via e ha inizio una nuova stagione. Per eliminare una classe dirigente bisogna però averne un'altra a disposizione: come defascistizzare tutto e tutti se in quegli anni pressoché tutto e tutti erano stati fascisti? La rottura con il passato si rivela così un brusco e disarmante riciclo senza pudore di uomini, di strutture e di apparati: come nel caso eclatante di Gaetano Azzariti che, da presidente del Tribunale della Razza, massimo organismo dell'aberrazione razziale, diventa vent'anni dopo presidente della Corte costituzionale, massimo organismo di garanzia della democrazia, senza che nessuno gli abbia chiesto di ritrattare, né il monarchico Badoglio, né il comunista Togliatti, né il democristiano Gronchi. Gianni Oliva ci costringe, ancora una volta, a guardare alla storia con onestà, facendo luce su quanto i «conti non fatti sul passato» pesino ancora sul presente.

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