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Quando ero più vecchio. Poesie giovanili

Genesi

Torino, 2007; br., cm 13,5x20,5.
(Le scommesse. 211).

collana: Le scommesse

ISBN: 88-7414-103-3 - EAN13: 9788874141036

Testo in: testo in  italiano  

Peso: 0.23 kg


L'origine da cui parte senza reticenze Francesco Lonetti è quella degli angiporti genovesi frequentati da persone di ventura delle quali non è facile dire da dove vengano né dove andranno. All'inizio, dunque, c'è il senso dell'avventura coniugato insieme a quello dell'esclusione. All'inizio, c'è un mondo che ha origini oscure, ma che comunque nasce già in odore di marginalità se non addirittura di discriminazione, come fosse un incubo del perbenismo borghese, il quale, tra vizi e virtù, vorrebbe sempre orientarsi in un riferimento didascalico e declinabile, forse ancorabile a un'identità plurivalente o pirandelliana, ma comunque esprimibile nel conforto di parametri la cui funzione è ampiamente studiata. La borghesia, si sa, ha assoluta necessità di essere positivista e laica, per realizzare con più agio il suo profitto: deve disporre del manuale di istruzione sia per il tostapane elettrico sia per le origini dell'embrione e della vita umana. Questo bisogno d'identità e di sicurezza, già prima di sprofondarsi nell'angiporto genovese, viene subito irriso da Lonetti: "Il suo nome / il suo nome / il suo nome / ripetere / finché perde significato / ripetere". Fuori di metafora, Lonetti esordisce dicendo che le declinazioni della realtà perdono totalmente significato. E poco dopo, ecco che la realtà erompe nell'oscuro vicolo del porto: "Extracomunitari alti e magri / come guardie svizzere / a guardia di via S. Bernardo / uno in un canto / uno nell'altro / vendono Marlboro, Camel e altro". Lonetti agita visioni epifaniche di fantasmi, perché infatti ci presenta come fossero "guardie svizzere" gli altissimi senegalasi che praticano lo spaccio e il contrabbando, e che presidiano via S. Bernardo, uno dei santi plurimi del cattolicesimo, in un canto e in un altro canto. Canto sta per "angolo tra due muri", ma è anche una melodia della voce: quei senegalesi, dunque, simili alle guardie nel tempio, che fanno commercio simoniaco di tabacco e di altre droghe capaci di confondere la realtà, stanno agli angoli di quali muri e di quali canti poetici (poiesis non significa, forse, "edificare muri"?).
La provenienza di Lonetti dal mondo della musica è un fatto che risulta subito quasi palpabile, nella musicalità e nel ritmo dei versi, nel gioco delle rime, delle allitterazioni, ripetizioni; nell'adozione di ritornelli e di rondeau. Ma anche gli omaggi che Lonetti rende ai suoi autori preferiti, compagni di letture e maestri ideali di esecuzioni musicali, sono interpreti del mondo della musica moderna, principalmente il rock. Anche il titolo, Quando ero più vecchio, appartiene a quel mondo: è tratto dalla canzone di Bob Dylan, My back pages, del 1964, e risale agli esordi del mostro sacro americano: "oh, but I was so much older then, I'm younger than that now", oh, ma ero molto più vecchio allora, sono molto più giovane adesso. L'in­ver­sione dei poli dell'endiadi dialettica gioventù-vecchiaia è un gioco allo specchio che ha impegnato grandi risorse del genio umano e che Pablo Picasso riassume nel riuscitissimo aforisma: "Ci si mette molto tempo per di­ventare giovani". Poco per volta, assume una fisionomia de­finita la collocazione letteraria di Lonetti, che si inserisce nel grande mito della ribellione americana agli stereotipi della piccola borghesia e del ceto medio, ingabbiato nelle grandi metropoli ovvero disperso nella sconfinata provincia; quel ceto mirabilmente rappresentato da quadri di Edward Hopper, nevrotizzato da teorie di solitudini, di incomunicazioni, di esclusioni e di alienazioni, perforate da bollicine di seltz, whisky, coca-cola e dai fumi di scappamento delle Chevrolet, che sono state le sirene a otto pistoni del mito della fuga, finché non sono state soppiantate dai chopper (le moto con lunghi manubri di moda negli anni Sessanta) come si vedono in Easy Rider, il film cult di quella generazione, diretto e interpretato da Denis Hopper, con Peter Fonda e Jack Nicholson. Si tratta del mito beat, quello dei figli dei fiori, che funzionerà da madre di tutti i movimenti di contestazione del secondo novecento. Tra gli autori di riferimento di Lonetti si può includere anche Charles Bukowski, probabilmente per la sua irriducibile capacità di fuggire da se stesso, dalle sue donne e dalla vita in genere, fino agli anni della piena maturità, si intenda la piena giovinezza, quando si stabilizza nella relazione con Linda Lee Beighle e vive tranquillo, si fa per dire, in un bel villino. Ma Lonetti non si riduce mai a fare una parodia del mito della contestazione. Egli cerca un'attualità e una specificità italiana, collocata ai giorni nostri. C'è un ideale trasferimento, che è anche un collegamento, tra la provincia americana, dispersa nelle grandi pianure del mito della nuova frontiera, e la provincia italiana, collocata in una dimensione equivalente ma lillipuziana del mondo, rappresentato come laboratorio pulsante della vita, collocato "al centro inesatto della pianura". E per distinguersi dalla tradizione di oltre oceano, Lonetti sviluppa un senso dell'ironia e del gioco che i poeti americani, tendenti al tragico e all'enfatico, raramente posseggono. Francesco si ricorda della tradizione illuminista e volterriana di prendere sé e il mondo circostante candidamente in ironia, e il suo allora può diventare un omaggio rivolto a Jonathan Swift e ai viaggi di Gulliver, anche se non disdegnerà mai il nero eppure luminoso pessimismo delle "sudate carte" del recanatese Giacomo. Lonetti realizza il suo personale bigger splash, l'enorme tuffo nella pienezza e nell'amore a oltranza della vita, con la scomparsa del protagonista nel liquido amniotico della realtà irrapresentabile, come raffigura il pittore inglese David Hockney, attraverso la sua tela omonima. Ma il bigger splash è anche la bandiera del rock. Inoltre, va detto che il tuffatore è un celebre reperto archeologico di Pompei: l'affresco sulla parete di una villa romana, che rappresenta un giovane uomo nudo che si tuffa nell'immenso mare di un'altra vita. Tutti questi elementi di citazione sono presenti in Lonetti. Francesco sposterà sempre su un altro orizzonte semovente la proiezione della verità, alternerà gli omaggi al rock e al blues, agli afroamericani e ai newyorkesi, anche passando per Leonard Cohen, tanto amato dal genovese Fabrizio De Andrè, con altri omaggi rivolti a Frank O'Hara e a quel mondo fantastico di fusione delle arti moderne, canzone-poesia-pittura, in un'unica sinergia creativa, che ha rappresentato per più di una generazione di contestatori il rifiuto radicale di integrarsi nella grande mistificazione borghese della realtà tenuta sotto controllo dai teorici dell'etica dell'utile e del consumo. Francesco Lonetti, da grande iperrealista che osserva con puntiglio l'angiporto di Genova, diviene allora, seguendo un'evoluzione che è stata anche di Hopper, un surrealista che ama concedersi il gioco di inventare una storia senza storia in un'altra storia, il labirinto della creazione, la dilatazione frattalica dell'avventura e della favola, lo sconfinamento nel sogno e la rappresentazione per enigmi irrisolti, le muse inquietanti, la dissoluzione delle corrispondenze congruenti, la realtà liquida. Svapora anche quel pragmatismo infervorato che aveva sorretto il fiducioso volontarismo dei buoni rivoluzionari d'antan, primo fra tutti di Lenin, che scrisse il suo Che fare? come manuale universale degli obbiettivi dell'operosità rivoluzionaria. Anche sui rivoluzionari belle époque s'abbatte la garbata ma implacabile ironia di Francesco Lonetti, che fa loro il verso con il suo Da fare, che mette in mostra un programma catechistico di irresistibile corrosività ironica: "Io ho da fare: / la tesi, la spesa, la gnosi, la prognosi, la poièsi, l'ipnosi / a me stesso ho da fare: odiare la gente, fare l'amore / attaccare l'Impero".
L'attività erotica, nel rispetto della tradizione che si radica in una condizione naturale, resta una delle sponde preferite da Lonetti, il quale illumina le sue pagine con una sapiente pleiade di vagheggiamenti amorosi, isole della gioia collocate in un arcipelago edenico difficile da raggiungere e quindi sovente rappresentato con la levità allusiva di chi ci crede e non ci crede: "la gioia di guardarti / la rabbia di non stare vicino / combattimenti di venti dentro di me / combattimenti, diventi dentro di me". L'amore resta per tutta la vita di tutta l'umanità quell'altra faccia della luna che sempre si pensa di raggiungere per discioglierne il mistero ricattatorio e ipnotico, capace di prendersi tanto gioco di noi, e di guastarci la quiete: "E stranamente / mistero diventa / l'amore che manca / (o il sonno che tarda) / stranamente facili / mistero dell'amore facile / in quest'aria...". Talvolta l'amore è calato nel consumo della quotidianità e viene osservato con diffidenza per la vocazione di ribellismo inconcludente che può scatenare, come avviene in Ristorante cinese, ove Francesco resta basito di fronte alla fuga repentina della sua donna che gli suggerisce di non pagare il conto: "Poi sentii urlare vieni via / non l'avevo mai fatto, parola mia / e non che mi obbligasse qualcuno. / Ma seguii l'aria, la corsa, il profumo." La poesia di Francesco Lonetti è umida di rugiada della gioventù, ora che il suo autore è divenuto anagraficamente maturo, essa mette in mostra le inquietudini irriverenti dei giovani che si fanno baffi delle costrizioni volute dall'uso e dalle gabbie delle abitudini, capaci di restringere sempre di più gli spicchi di cielo residui, di smorzare la luce e di abbassare i soffitti, ridurre gli ambienti vitali in un soffoco d'asfissia: al contrario, in questi versi si assiste alla dilatazione del protagonista dentro un mondo libero, che chiede di essere vissuto nel gioco continuo della sua quotidiana invenzione.

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