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I colori del lusso. Scialli del Kashmir a Genova

Sagep

Genova, Museo di Sant'Agostino, 24 aprile - 30 giugno 2002.
Genova, 2002; br., pp. 32, ill.
(Genova Città Inaspettata).

collana: Genova Città Inaspettata

ISBN: 88-7058-871-8 - EAN13: 9788870588712

Soggetto: Tessuti (Arazzi, Tappeti, Ricami)

Periodo: 1400-1800 (XV-XVIII) Rinascimento,1800-1960 (XIX-XX) Moderno

Luoghi: Extra Europa

Testo in: testo in  italiano  

Peso: 0.15 kg


Straordinario risultato di un artigianato dall'altissimo valore artistico, erano in origine tessuti con la pregiatissima lana che la capra hircus degli altipiani tibetani lascia tra i rovi ogni primavera, quando abbandona il vello invernale. Una volta filata e tinta, la fibra, morbida e sottilissima, era lavorata su speciali telai orizzontali con una tecnica detta spolinatura e analoga a quella dell'arazzo, ottenendo cioè il decoro grazie al passaggio localizzato di trame parziali.
I disegni, estremamente dettagliati e complessi, erano eseguiti da tessitori uomini coordinati da un tarah guru (colui che chiama i colori) e un talim guru che trascriveva il modello e per terminare un solo capo d'abbigliamento, complemento indispensabile all'abito ufficiale di principi e nobili, occorrevano da diciotto mesi a tre anni.
Testimoni del fascino di un Oriente lontano e fantastico, gli scialli del Kashmir compaiono in Europa all'inizio del diciottesimo secolo, introdotti in Inghilterra dall'East Indian Company. Dapprima status symbol dell'alta società, grazie alla nascita di una produzione locale diventano più accessibili, anche se di qualità decisamente inferiore, e tradizionali nei corredi da sposa. La produzione europea di scialli kashmir, localizzata soprattutto in Alsazia e in Gran Bretagna a Norwich e Paisley (da cui il nome corrente del caratteristico motivo a palmette), ha una storia avventurosa e costellata di disavventure. Particolarmente sfortunato il tentativo compiuto da un veterinario inglese di portare in patria le preziose capre tibetane: il carico di animali, suddiviso in due navi separando rigorosamente le femmine dai maschi, fu dimezzato dall'affondamento di uno dei battelli e quattro mogissimi montoni sbarcarono in Scozia come unici superstiti, peraltro presto stroncati dal clima della zona. Così la produzione occidentale rinuncia presto alla qualità dei filati ed all'estrema difficoltà e lentezza della lavorazione tradizionale, e privilegia tecniche più rapide come la tessitura e trame lanciate cimate a prodotto finito, focalizzando quindi l'attenzione sulla semplice riproduzione dei motivi ornamentali. Questo approccio perviene con il passare degli anni a curiosi esiti di sincretismo iconografico, che nei pezzi più recenti mescolano la palma botéh a grandi motivi floreali assolutamente europei.
Grazie all'attenta curatela scientifica di Loredana Pessa e Daniela Lunghi, la mostra al Sant'Agostino illustra in modo esaustivo e divertente questo percorso storico, proponendo un viaggio nel tempo che racconta con vivace immediatezza la vita quotidiana del passato.

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design e realizzazione: Vincent Wolterbeek / analisi e programmazione: Rocco Barisci