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All'altro lato è una città raccolta

Genesi

Torino, 2015; br., pp. 96, cm 15x21,5.
(I Gherigli. 162).

collana: I Gherigli

ISBN: 88-7414-497-0 - EAN13: 9788874144976

Testo in: testo in  italiano  

Peso: 0.36 kg


C'è un altrove nella poesia di Natino Lucente che è immerso nel centro dell'hic et nunc. Sembra un paradosso, anzi lo è: l'affondamento a capofitto nella realtà permette di astrarsi dalla medesima e di vivere in un sopramondo che è una fantastica iperrealtà. Si parva licet componere magnis, potremmo adombrare una convergenza tra la poetica del libro All'altro lato è una città raccolta e l'astrofisica del multiuniverso, elaborata da Stephen Hawking: se immaginiamo di tuffarci in un buco nero - sostiene l'illustre studioso - ne saremmo risucchiati in modo irreparabile da potere essere proiettati senza ritorno in un altro universo dimensionato in modo totalmente al­ternativo. Però nessuno potrà mai confermarci se tale ipotesi sia una verità ovvero una falsità, perché quel tal viaggiatore-astronauta che raggiungesse un buco nero nello spazio-tempo diverrebbe emulo di Ulisse che compì "il folle volo" e che disparve in toto dalla storia del mondo conosciuto. Dove sia finito il Laerziade nessuno lo sa. Natino Lucente, per sua fortuna, non corre un rischio così definitivo e terrificante: attraverso il tappeto magico della poesia egli può vivere, grazie al verbo poetico che si rende vita vissuta, l'esperienza conoscitiva della superrealtà. Già nell'Incipit di questo bellissimo libro, viene indicato il mondo a quattro dimensioni: la terra, il mare, il cielo e l'uomo. La Terra è il pianeta, con la sua lunga storia di oltre quattro miliardi d'anni; il mare è il laboratorio della vita, con la sua sperimentata storia di circa un miliardo d'anni, a datare dall'elaborazione delle prime alghe da cui discenderanno poi tutte le altre forme di vita; il cielo è l'immensità dell'universo conosciuto, con la sua enigmatica vicenda di oltre 14 miliardi di anni di esistenza. L'uomo, infine, è l'ultimo arrivato, pochi milioni d'anni, ma anche ha la specialità di essere pericolosissimo a sé stesso, con la sua presuntuosa vicenda di "parole, soltanto parole". Ciò significa avere già dato le dimensioni dell'umanità: un fiato di voce, tanto debole e labile, da essere nulla in confronto all'universo con cui si raffronta, pertanto, parrebbe che parva non licet componere magnis. La complessità e l'alta tragedia di tutta la storia dell'uomo sembrerebbe una "raccolta indifferenziata" di deiezioni prive di peso e di significato se raffrontate al superlativo progetto della creazione che è squadernato nell'universo a noi noto di terra-mare-cielo, le tre possenti categorie che si ergono ad enigma insondabile del perché della conoscenza. "Raccolta indifferenziata", sia detto come nota ri­velativa e confidenziale da parte del prefatore, era il titolo originario annotato in minuscolo sul testo, così come giunse sulla scrivania del sottoscritto - mi correggo, sullo schermo del pc. E quel titolo demandava, in tutta la sua irridente carica antifrastica, alla supponenza del genere umano che si ritiene collocato al centro dell'universo, co­me creatura prediletta dal Creatore, mentre è pacifico, ed è già stato illustrato da tempo dagli scienziati, che la durata della vita umana sulla Terra sarà lungamente inferiore a quella degli insetti e in particolare degli scarafaggi. Più di tutto, sarà minimale la durata del pianeta Terra e dello stesso Sole se confrontata alla durata sconfinata dell'universo che conosciamo. E in tale universo, ormai è notizia suffragata dalla scienza, c'è la ragionevole probabilità che esista un gran numero di altri pianeti simili al nostro, su cui è probabile sia ospitata una dimensione di vita a noi non nota e per ora inimmaginabile. Quand'anche riuscissimo a compiere il maggiore risultato possibile sul nostro pianeta, al massimo dei massimi riusciremmo a decretare la nostra fine. E che cosa finirebbe con la fine dell'umanità? Lo dice il poeta Natino Lucente: finirebbero le "pa­ro­le, soltanto parole", un fiato debolissimo e subito di­sperso, come un insignificante refolo d'aria.

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