Arturo Checchi pittore
Aiòn Edizioni
San Miniato, Palazzo Grifoni, 6 novembre - 28 novembre 2022.
A cura di Fagioli Marco.
Firenze, 2022; br., pp. 120, ill. col., cm 24x12.
EAN13: 9791280723123
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Nato a Fucecchio il 29 settembre del 1886, da giovane Checchi comincia prestissimo a studiare i maestri del Rinascimento toscano, in particolare Andrea del Castagno e Pontormo. Nella sua vasta produzione di opere pittoriche e grafiche di soggetto religioso, Checchi si dimostrò sempre sensibile interprete della sacralità del quotidiano. Dal 1919 agli anni Sessanta ritornano, in particolare, due temi assillanti, elaborati in versioni ad olio, a matita e in acquaforte - la Via Crucis e la Crocefissione. In essi lartista ha modo di enunciare la sua lettura altamente umana dei caratteri della Vergine e di Cristo, sottolineandone la fragile corporeità e il legame affettivo attraverso una espressività a torto considerata di stampo modernista. In effetti quella di Checchi è un idioma formale pienamente derivato dalla tradizione barocca: basti confrontare certe fisionomie grottesche presenti in Le Marie (1924) con la Flagellazione di Cristo del Caravaggio e con El Espolio di El Greco. A questa poetica classicheggiante si lega il Cristo deposto del 1934, nel quale sottolineiamo - oltre ad echi di Pontormo, visibili nellacceso cromatismo e nella sinuosità delle figure - lespressività del volto del Cristo morto, paragonabile a quella del San Sebastiano (1923) e nellEcce Homo (1926). Notevole il rigore costruttivo, realizzato tramite una successione di verticali (i cipressi, la croce e la figura vista di spalle della Maddalena) e di orizzontali (il sudario e il corpo disteso di Gesù), e lindirizzarsi degli sguardi delle tre donne verso il volto esangue di Cristo. In tale attenzione alla composizione e alle relazioni affettive tra i vari partecipanti al dramma, lartista si rivela attento conoscitore della tradizione delle Deposizioni fiorentine, dal Beato Angelico al Rosso. Eloquente, pur nella sua semplicità compositiva, è la resa dellumanità della Vergine e di Gesù che traspare dalle due Natività del 1927 e del 1933. La scena coinvolge quattro figure, Maria, il Bimbo, lasino ed il bue, sebbene in alcuni disegni successivi, del 1935, appaia una quarta figura accanto a quella dellasino. Pochi i gesti ed i dettagli, come la natura morta della caraffa e della bacinella in primo piano, quasi che tutta lenergia della scena fosse concentrata nello sguardo stanco ma pieno damore che la madre rivolge al neonato. Nonostante lapparente riutilizzo delliconografia tradizionale della Natività con bue e asino, lartista ha reintegrato questi elementi in una rilettura di stampo contemporaneo e nettamente toscano, ove la figura popolana della Vergine e la rassegnata dignità degli animali sono ovvii tributi al maestro Fattori. Negli ultimi anni lartista si dedica con maggiore frequenza allincisione, ritornando a temi religiosi esplorati in gioventù. Muore a Perugia nel 1971. Dalla nota biografica di Lucia Minunno