Cult Fiction.
Marialba Russo
Editrice Quinlan
Testi di Fofi Guffedro.
Testo Italiano e Inglese.
San Severino Marche, 2018; br., pp. 88, 126 ill. b/n e col., cm 22x28.
ISBN: 88-99390-16-9 - EAN13: 9788899390167
Soggetto: Arti Grafiche (Disegno, Incisione, Miniatura),Cinema,Collezioni,Fotografia
Testo in:
Peso: 0.43 kg
Sì, è vero, e Pasolini ne fu pienamente cosciente, il Decameron, come si disse allora in certi ambienti, "sdoganò il cazzo" e la simulazione dell'atto sessuale sullo schermo. Il passaggio verso il porno fu però aperto da quel film e dalla serie dei finti Boccaccio cui diede vita; il salto nel porno vero e proprio non tardò ad arrivare, e tante sale cinematografiche, prima di diventare garage o mercati, ospitarono per molti anni i film "a luci rosse". (Le luci rosse caratterizzavano i lampioni sulla porta dei bordelli, la differenza con quelle dei film è che in quelle sale si faceva raramente sesso con dei partner, ci si andava per masturbarsi - e il cinema vi figurava come esaltazione di una sua natura non secondaria, quella voyeuristica.) Su questi anni, dal punto di vista del costume si è indagato assai poco, pochi storici si sono spinti al massimo a prendere in considerazione materiali sino allora trascurati (canzonette, spettacoli televisivi), accennando molto superficialmente a una mutazione del costume e nella mentalità che fu invece radicale e che ha lasciato un gran segno, aprendo a nuove e più aberranti mutazioni quali quelle che hanno portato al dominio della tecnologia e della finta comunicazione. E alla morte del cinema, come fenomeno culturale di massa, arte popolare per eccellenza tra gli anni Venti e i Sessanta del secolo scorso, e arte per eccellenza di quel secolo insieme alla fotografia.
Franca Faldini e io che qui scrivo, tentammo tra gli anni Settanta e Ottanta, di raccontare anche quest'esplosione e rivendicazione del "basso", raccogliendo il punto di vista di chi ha girato - prodotto, diretto, interpretato - i film i cui manifesti con ostinata curiosità e spirito "collezionistico" Marialba Russo ha fotografato nel 1978. Ella ha forse inventato o perfezionato in questo modo quasi un nuovo genere nella storia della fotografia, sconfinando nell'antropologia e nella storia dell' "arte povera" (e rozza, e brutta) sollecitata dai nuovi costumi. Quelle testimonianze colgono ancora due tensioni che il materiale raccolto da Marialba Russo ci conferma, e che riguardano la storia del cinema quanto la storia della cultura popolare in un momento in cui andavano entrambe esplodendo. La prima: gli anni Settanta mostrarono l'esplosione di una vitalità ormai perversa, ma pur sempre tale, nella storia della cultura popolare. La seconda: si aprì la strada al nostro cupo presente, un presente senza utopia - sostituendo alla creatività dal basso la manipolazione, vicina alla perfezione, messa in atto dall'alto.
È bene evitare le lamentazioni sulla condizione attuale delle arti, una condizione in cui boccheggiano e trovano vita e calore solo in una marginalità che sa di ghetto e condanna e non di apertura a tempi migliori. In Italia, è ancora una volta il cinema a offrire motivi di soddisfazione, e se non di speranza, esempi di proficua resistenza, mentre la letteratura e il teatro, meno difficili da affrontare per il singolo o per dei gruppi, non vanno oltre la dimostrazione di un narcisismo condizionato e puerile. E la fotografia oscilla tra una dilatazione mostruosa e (disgustosamente) "democratica" davvero "di massa", e così di massa che più di massa non si può, e il disprezzo evidente nell'uso che ne fanno i media, e infine la museificazione delle opere di chi resiste e sa ancora vedere e, di conseguenza, immaginare. Il cinema documentato da Marialba Russo fa parte di questa storia di trasformazioni, di estrema, ultima, e anche mostruosa vitalità.
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