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Giovan Battista Langetti. Il principe dei tenebrosi

Libro Co. Italia

Soncino, 2011; ril. in cofanetto, pp. 352, 110 ill. b/n, 83 tavv. col., cm 34x24.

ISBN: 88-904902-5-X - EAN13: 9788890490255

Soggetto: Pittura,Pittura e Disegno - Monografie,Saggi (Arte o Architettura)

Periodo: 1400-1800 (XV-XVIII) Rinascimento

Luoghi: Veneto

Extra: Barocco & Rococò

Testo in: testo in  italiano  

Peso: 2.54 kg


Nacque a Genova, probabilmente nel 1635, nella parrocchia di S. Sabina, da Giovanni Cesare e da Chiara Bagutti. Si sa che quest'ultima morì, essendo già vedova, il 22 giugno 1639 (Stefani Mantovanelli, 1990, p. 44, cui d'ora in avanti si farà riferimento dove non altrimenti indicato). Dal registro parrocchiale di S. Sabina tre fratelli del L. risultano essere stati battezzati prima della sua nascita: Giuseppe, registrato il 22 marzo 1616, al quale fece da padrino il pittore Giovan Battista Carlone (tra i protagonisti della scena artistica genovese); un altro Giovanni Battista, il quale, battezzato il 18 luglio 1621, si spense giovanissimo il 23 giugno 1627; e Maria Maddalena, registrata il 18 giugno 1626. Si sa inoltre dell'esistenza di altre due sorelle, alle quali fu dato lo stesso nome di Vittoria: il che sta probabilmente a indicare che la prima dovette spirare in tenera età. Della seconda fu madrina Ersilia Carlone Castello, figlia di Bernardo Castello e moglie di Giovanni Carlone, fratello maggiore di Giovan Battista e anch'egli pittore affermato (p. 43): ciò che, oltre a ribadire lo stretto legame dei Langetti coi Carlone, consente di supporre per il padre del L., del quale peraltro nulla è noto, un'attività professionale in qualche modo connessa alla pratica della pittura. Infine, nel testamento del L., redatto a Venezia il 19 ott. 1676, emergono come beneficiari altri due fratelli: Maria Simonetta, residente a Genova, e Giovanni Andrea (pp. 92 s.). La biografia del L. si presenta particolarmente povera di certezze documentarie. Un nodo problematico che solo da poco si direbbe risolto in modo persuasivo è quello relativo alla data di nascita. Sino a pochi decenni addietro, infatti, veniva presa per buona l'indicazione fornita da Ratti (p. 22) nella sua biografia del pittore, ove i natali di quest'ultimo erano situati nel 1625, un decennio prima rispetto a quel che hanno fatto emergere le ricerche moderne. Il ritrovamento dell'atto di nascita di un Giovan Battista Langetti, datato 1621 (Alfonso, p. 40) - che in realtà riguarda il fratello dell'artista - ha anche spinto per qualche tempo parte della critica a ricondurre quel documento allo stesso L., e conseguentemente ad anticiparne al 1621 i natali. In effetti, pur non essendo riemerso negli archivi genovesi alcun atto relativo alla nascita del L., possono essere stimati sostanzialmente dirimenti intorno a tale questione due documenti rinvenuti a Venezia (p. 93): l'atto di morte e il registro dei defunti della parrocchia di S. Maria Maddalena, entrambi datati 22 ott. 1676, che dicono il L. deceduto all'età di circa quarantuno anni, collocandone così la nascita intorno al 1635. Tale datazione ha imposto un significativo riassestamento della biografia del pittore, a cominciare dalla ricostruzione del suo iter formativo, della successione delle sue esperienze professionali e della cronologia del suo catalogo, facendone risaltare la maturazione artistica particolarmente rapida, nonché la speciale coerenza e omogeneità stilistica del corpus delle opere. Rimasto orfano ancora bambino, si può solo ragionevolmente congetturare che il L. venisse assistito e instradato verso l'arte della pittura proprio da Giovan Battista Carlone. Di sicuro, come fu sempre sottolineato dalla letteratura artistica a partire da Ratti (p. 22), non permangono tracce concrete di una fase di apprendistato genovese del L., né di una sua produzione giovanile realizzata nella e per la città ligure. Tale dato di fatto sembra confermare le indicazioni della principale fonte seicentesca sul pittore, il veneziano Marco Boschini (1660, p. 578), il quale riferisce di un viaggio di formazione a Roma - che avrebbe potuto, forse, essere intrapreso intorno alla metà del secolo proprio al seguito di Carlone - grazie al quale il L. si sarebbe introdotto assai giovane nella prestigiosa bottega di Pietro Berrettini da Cortona. Tale indicazione fu in seguito ripresa dal Ratti, il quale ebbe a puntualizzare come il L. "apprese principi della Pittura sotto il Cortona, quantunque non sempre cortonesco sia stato il colorito" (p. 22). Anche del soggiorno romano, comunque, non esistono conferme di ordine documentario. Ferme restando le suggestioni delle fonti, sono le opere collocabili al principio dell'attività del L. a fornire i responsi più significativi sulle sue coordinate stilistiche e sulla trama di influenze che ne hanno orientato le scelte artistiche fondamentali. In questo senso, si staglia in primo luogo il punto di riferimento caravaggesco, tanto forte quanto chiaramente mediato dall'opera di pittori "naturalisti", per così dire, di seconda generazione: a cominciare da quelli attivi in ambito genovese, ove soprattutto le produzioni di Giovanni Andrea De Ferrari, di Gioacchino Assereto e di Orazio De Ferrari si direbbero essere state attentamente studiate dal giovane L., il gusto del quale dovette essere particolarmente attratto anche dalle opere di Antonie Van Dyck. Nel contesto romano, il magistero compositivo e l'efficacia comunicativa della maniera cortonesca furono presto scavalcati dall'esempio travolgente di Jusepe de Ribera, recepito dal L. nella sua declinazione più scura e severa, satura di pathos e tragicità.A partire dal trasferimento a Venezia, i dati disponibili sul L. divengono un po' più consistenti. Il pittore dovette andare a vivere in laguna (per ragioni che ignoriamo) non molto oltre la metà del sesto decennio, se la Carta del navegar pitoresco di Marco Boschini (pubblicata a Venezia nel 1660) gli riserva alcuni passi apertamente elogiativi, lasciando intendere che doveva trovarsi a Venezia già da qualche anno, e che ivi doveva essere molto attivo e apprezzato. Con ogni probabilità, al suo arrivo in laguna il L. stette per un certo periodo a bottega da Giovan Francesco Cassana (allievo e seguace genovese di Bernardo Strozzi), come si evince da una lettera scritta nel 1680 da Antonio Lupis allo stesso Cassana (citata da Ratti, p. 13). La pastosità, ricchezza e intensità cromatica che caratterizzano la pittura del L. mostrano, in effetti, interessanti connessioni col colorismo brillante e luminoso di Strozzi, che fece scuola sia a Genova sia a Venezia. Quando Boschini tracciò il suo lusinghiero profilo del L., questi comunque doveva avere già guadagnato un ruolo propulsivo e di assoluto spicco nella neonata corrente pittorica dei "tenebrosi". Tale tendenza artistica veneziana (peraltro energicamente avversata da Boschini, con la decisa ma esclusiva eccezione del L.), ebbe come ulteriori protagonisti Carl Loth, Antonio Zanchi e, per breve tempo, Luca Giordano, che risiedette a Venezia sicuramente intorno alla metà degli anni Sessanta. Soprattutto durante il settimo e ottavo decennio, questi pittori si trovarono a condividere una maniera orientata verso un realismo drammatico, teatrale e privo di filtri idealistici, basata su violenti contrasti chiaroscurali e su un'esasperazione degli effetti della luce sulle superfici dei corpi (spesso caduchi, sofferenti o martoriati), che traeva massimo partito dall'arte del Caravaggio (Michelangelo Merisi) e di Ribera. Veniva così a essere marcata una relativa soluzione di continuità rispetto alla tradizione figurativa lagunare, quantunque il Tintoretto (Jacopo Robusti) rappresentasse uno degli ideali punti di riferimento del movimento, e particolarmente del L., come ancora Boschini ebbe a segnalare: "L'adora el Tintoretto e dise questo: / l'è un pitor regio e l'ha un disegno immenso: / perché quando l'osservo, e che in lù penso, / el porto in fronte, e li altri buto in cesto" (1660, p. 576). Purtroppo il corpus del L., che pure oggi si attesta su più di un centinaio di numeri, è composto di una quantità assai esigua di opere documentate. Pochi sono i dipinti firmati e, cosa ancor peggiore sotto il profilo della ricostruzione cronologica del suo catalogo, irrisorio è il numero di quelli datati o databili con certezza. Anche il costante ricorrere di un repertorio ristretto di soggetti e la pratica frequente delle repliche complicano il lavoro di seriazione delle opere entro il ventennio scarso d'attività del Langetti. Le sole opere antecedenti al 1660 di cui si ha notizia sono quelle citate da Boschini: un Apollo e Marsia realizzato per il conte Gaetano Thiene (probabilmente il dipinto già a Dresda, Gemäldegalerie, andato distrutto durante la seconda guerra mondiale) e un Bacco con satiro (disperso), oltreché, più genericamente, altri quadri commissionati da importanti procuratori veneziani (Boschini, 1660, pp. 576-578, 626). Stilisticamente affini e prossime alla redazione del dipinto già a Dresda dovrebbero essere altre due versioni del medesimo soggetto: quella conservata nella Collezione Platky di Lipsia (ill. 7), e quella del Museo Puškin di Mosca. Pure da ricondurre alla fase iniziale del L., caratterizzata da un acceso riberismo e da una tensione realistica particolarmente cruda e violenta, si direbbero il Tizio conservato a L'Aia, Mauritshuis, il S. Sebastiano del Museo Puškin di Mosca, nonché le impressionanti redazioni a mezzo busto del Suicidio di Catone oggi a Genova, Galleria di Palazzo Rosso; Padova, Quadreria Emo Capodilista; Rio de Janeiro, Museu de belas artes. Un ulteriore esemplare di alta qualità dello stesso soggetto è conservato a Venezia, Ca' Rezzonico, ove si trova con il suo pendant, raffigurante un altro tema fra i prediletti del L., il Supplizio di Tantalo, del quale esistono pure svariate repliche (una di esse a Riga, Museo d'arte straniera). Già nel primo periodo del L. compaiono molti dei soggetti ricorrenti nella sua produzione - esplicitandosi la predilezione per scene di sofferenza e morte e per la rappresentazione di santi martiri o penitenti, filosofi classici ed eroi biblici o mitologici - e si manifestano con flagranza le sue prerogative stilistiche salienti, a cominciare dall'energia narrativa, che talora rasenta la brutalità, ma anche la ferrea ed eloquente calibratura di pose, gestualità, caratteri, fisionomie, in funzione dell'efficacia comunicativa ed espressiva dell'immagine. Si succedono, dunque, all'incirca tra la fine del sesto e la metà del settimo decennio, Storie di Ercole (Vienna, Kunsthistorisches Museum; Udine, collezione privata, ill. 22), Sansone (San Pietroburgo, Ermitage, opera firmata; Nîmes, Musée des beaux-arts), Giuseppe (Greenville, South Carolina, Bob Jones University Gallery; Budapest, Museo di belle arti), Caino e Abele (Francoforte, Stadelsches Kunstinstitut; Nîmes, Musée des beaux-arts), Giona (Morlaix, Musée des Jacobins; Bruxelles, collezione privata, ill. 34), la Tortura di Issione (Ponce, Museo de arte) e il Dario III assassinato (Castres, Museo Goya). All'inizio del settimo decennio il L. avviò un proficuo rapporto di committenza col ricco e potente ambasciatore boemo dell'arciduca Leopoldo Guglielmo, Humprecht Jan Cernin. Nel 1661 e nel 1662 quest'ultimo chiese opere al pittore (anche per conto dell'arciduca) e nel 1663 gli commissionò un Vulcano e la gelosia, che corrisponde probabilmente all'esemplare oggi a Monaco, Alte Pinakothek. Per quest'opera, Cernin s'impegnò a fornire al L. dettagliate indicazione scritte, che entrarono nel merito della resa iconografica fornendo al pittore precisi suggerimenti (p. 92). Nello stesso torno di tempo si situa la realizzazione di quello che può essere considerato il capolavoro del L. e uno dei vertici della pittura veneziana del Seicento: la grande tela raffigurante il Cristo in croce con la Maddalena, posta sull'altare del Crocifisso della chiesa delle Terese (carmelitane osservanti). Nei suoi aggiornamenti del 1663 alla Venetia città nobilissima et singolare di Francesco Sansovino, Giustiniano Martinioni non fa menzione della pala del L., ma riferisce che nel 1660 si era compiuta la costruzione della chiesa e che l'edificazione degli altari era in via di completamento. Poiché il dipinto viene elogiato da Boschini nel 1664 (p. 330), la sua esecuzione dovrebbe cadere proprio nel 1663. La commissione dell'opera può essere ricondotta a Maffio Milles, il quale aveva una figlia nel convento delle carmelitane, vantava la titolarità dell'altare del Crocifisso ed era intimo amico del L., se veniva nominato da quest'ultimo tra i beneficiari del suo testamento (pp. 66, 90-92). Nella pala delle Terese sono riconoscibili, mirabilmente metabolizzate, tutte le componenti stilistiche fondamentali della maturazione artistica del L., che trovano qui un ideale elemento di fusione nel riferimento alla dizione nobile e sontuosa di Van Dyck. Il naturalismo viene spinto sino alle ultime conseguenze tecniche (in particolare nella resa minuziosa e impressionante del corpo e del volto di Cristo) ed espressive (i chiodi lunghissimi e contorti, in modo anomalo conficcati sui polsi), ma al contempo assoggettato a una monumentalità e a una ponderazione formale quasi classiche. Non è invece rimasta traccia di un'altra pala dipinta dal L. nello stesso periodo per la chiesa delle Terese, raffigurante i Ss. Marco, Cristoforo e Jacopo, pure descritta da Boschini (1664, p. 330), né di altre realizzate negli anni successivi sempre per la stessa sede, di cui offre testimonianza ancora Boschini nel 1674 (p. 10). Nel 1665 il L. ricevette un pagamento di 120 ducati da Vittore Zignone, decano di S. Giorgio Maggiore, per due tele da collocare ai lati del refettorio, oggi perdute, raffiguranti Sansone beve dalla mascella d'asino (forse da identificare in una tela dispersa, che nell'Ottocento era conservata nel monastero di S. Giorgio Maggiore) e Mosè fa scaturire l'acqua dalla roccia (Cicogna, p. 330). Esistono solo altri quattro dipinti firmati, tutti di altissimo livello e databili fra la metà del settimo e il principio dell'ottavo decennio, a costituire il nucleo dei punti fermi del corpus del L.: si tratta dell'Archimede di Brunswick, Herzog Anton Ulrich Museum (del quale si conserva un'altra versione a Filadelfia, Museum of art); del Mercurio e Argo di Genova, Galleria di Palazzo Bianco; del S. Girolamo, oggi a Cleveland, Museum of art; e della Scena di morte in collezione privata a Padova. Tra i dipinti più significativi realizzati nell'ultimo decennio di vita del L., che dovrebbero restituire i connotati aurorali di una sorta di maniera matura del pittore, sono da ricordare le due versioni del Buon samaritano, Bath, Holbourne of Menstrie Museum, e Lione, Musée des beaux-arts; l'Isaccobenedice Giacobbe, Toronto, Art Gallery (di cui esistono parecchie repliche); Lapazienza di Giobbe, già a Brno, collezione privata, e Rovereto, Musei civici; il Giuseppe interpreta i sogni, nelle redazioni di Pommersfeld, Quadreria Schönborn-Wiesemtheid, e Sibiu, Museo Bruckenthal; il Diogene e Alessandro, Venezia, Galleria Querini Stampalia. E infine le redazioni, più volte replicate, dell'Uccisione di Archimede, Venezia, collezione privata, e di Alessandro davanti al corpo di Dario, Genova, collezione privata. L'ultima opera documentata dipinta dal L. consiste nelle due tele firmate, raffiguranti i Ss. Pietro e Paolo, realizzate nel 1675 per la chiesa di S. Agostino a Padova, demolita nell'Ottocento con conseguente trasferimento dei due dipinti nella sagrestia della chiesa di S. Daniele, ove sono tuttora conservati. Questo frutto estremo del L. appare come l'esito compiuto di un processo evolutivo in corso, che si direbbe spingesse l'artista verso una certa semplificazione compositiva e un più asciutto patetismo, cui facevano riscontro una pennellata più ricca e dinamica e un colorismo più brillante. Il 19 ott. 1676 il L. fece testamento, disponendo la restituzione di un anticipo di 100 scudi, ricevuti dalla Fabbrica di Carignano per una pala d'altare che avrebbe rappresentato il primo impegno del pittore per la sua città natale, ma che non venne mai neppure cominciata (pp. 93 s.). Appena tre giorni più tardi, il 22 ott. 1676, il L. morì. Lo stesso giorno fu redatto l'inventario dei suoi beni, che documenta una condizione di notevole agiatezza e descrive fra i suoi averi, esposta in un corridoio presso la cucina, "una testa piccola" del suo prediletto Jacopo Tintoretto (pp. 94 s.).
Fonti e Bibl.: M. Boschini, La carta del navegar pitoresco... (1660), a cura di A. Pallucchini, Roma-Venezia 1966, pp. 576-578, 626 s.; Id., Le minere della pittura veneziana, Venezia 1664, p. 330; Id., Le ricche minere della pittura veneziana, Venezia 1674, p. 10; R. Soprani - C.G. Ratti, Vita de' pittori, scultori ed architetti genovesi, Genova 1769, pp. 22-26; E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, IV, Venezia 1834, p. 330; M. Stefani, Nuovi contributi alla conoscenza di Giambattista L., in Arte veneta, XX (1966), pp. 190-202; L. Alfonso, Liguri illustri, in La Berio, XI (1971), pp. 38-44; R. Pallucchini, La pittura veneziana del Seicento, I, Milano 1981, pp. 243-250; Seicento, le siècle de Caravage dans les collections françaises (catal.), Paris 1988, pp. 256 s.; N. Volle, Barocco mediterraneo. Genova, Napoli, Venezia nei musei di Francia (catal.), Napoli 1988, pp. 105-109; M. Stefani Mantovanelli, G.B. L., in Saggi e memorie di storia dell'arte, 1990, n. 17, pp. 41-105 (con bibl.); Id., G.B. L., in Genova nell'età barocca (catal., Genova), a cura di E. Gavazza - G. Rotondi Terminiello, Bologna 1992, pp. 204-208; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXII, pp. 340 s.

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