Bologna città aperta
Minerva Edizioni
Argelato, 2021; br., pp. 256, ill., cm 17x24.
ISBN: 88-3324-388-5
- EAN13: 9788833243887
Soggetto: Società e Tradizioni
Periodo: 1800-1960 (XIX-XX) Moderno
Luoghi: Emilia Romagna
Testo in:
Peso: 1 kg
Le memorie di Mario Agnoli, podestà di Bologna dal 18 settembre 1943 all'alba del 21 aprile 1945. Il volume, uscito nel 1975 e rapidamente esaurito, ripercorre gli eventi di un periodo storico cruciale per i bolognesi, e raccoglie fotografie d'epoca e riproduzioni di lettere e documenti che riguardano gli avvenimenti e gli episodi che caratterizzarono l'amministrazione Agnoli. Questa nuova edizione, riveduta e corretta secondo le indicazioni lasciate dall'autore alla famiglia, è arricchita di documenti inediti e rappresenta un'importante fonte per studiosi e appassionati di storia. Mario Agnoli, come commissario prefettizio prima e podestà poi, si adoperò strenuamente per salvaguardare la città e i suoi abitanti, oppressi dall'occupazione nazista e stretti fra la neonata repubblica sociale, il movimento di liberazione e l'incubo dei bombardamenti da parte delle "fortezze volanti" alleate, che accomunava tutti, indistintamente. Con l'aiuto di padre Domenico Acerbi, provinciale dei Domenicani, e dell'arcivescovo di Bologna Giovanni Battista Nasalli Rocca, e grazie a un intenso carteggio con il feldmaresciallo Albert Kesselring, comandante supremo delle forze germaniche in Italia, Agnoli perseguì la complessa iniziativa di rendere Bologna "città aperta", che però non incontrò i giusti consensi e, anzi, venne osteggiata. Il riconoscimento ufficiale non vi fu, ma Bologna lo divenne di fatto a partire dal luglio 1944, in quanto città ospedaliera che dava assistenza a feriti e malati dell'intera regione e rifugio a centinaia di famiglie provenienti dalle campagne. Con il libro Bologna "Città aperta" (Settembre 1943 - Aprile 1945), Mario Agnoli ha desiderato lasciare una testimonianza rispettosa della verità storica, contribuendo ad evitare la distorsione e le strumentalizzazioni della stessa, senza cedere né alla poesia, né alla retorica, un «documentario di storia terribile con deliberato stile scarno e dimesso».