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La lieta stagione

Di Carlo Edizioni

Reggio Emilia, 2023; br., pp. 217, cm 14x21.

EAN13: 9791281566248

Periodo: 1800-1960 (XIX-XX) Moderno,1960- Contemporaneo

Testo in: testo in  italiano  

Peso: 0 kg


“La lieta stagione”, questo è il titolo della raccolta poetica in esame e in proposta, che ha come paternità Mario Moretti, poeta e versificatore che trova crogiolo ottimale di riflessione e di indagine, attraverso “immagini” sempre ben costruite, in ciò che oltre alla poesia rappresenta la sua passione. Sto parlando del suo vigneto, della sua campagna, del suo orto e del suo territorio sempre vivo e presente e, direi anche dall’inizio alla fine, quell’ “elemento dominate” di un lirismo originale, senza equivoco alcuno, presente in questa raccolta articolata per sezioni tematiche. Credo che prima di iniziare a descrivervi la soggettività poetica dell’uomo, sia doveroso e anche opportuno trovare una chiave interpretativa comune all’indagine poetica e alle immagini poetiche, concetti esegetici imprescindibili ed epistemologici dell’eredità storico-culturale europea ovviamente nell’ambito della materia poetica. Quello europeo, per l’appunto, è risaputo essere come il nucleo propulsore di tutta la poesia mondiale il cui retaggio comune darebbe una chiave prettamente romantica all’indagine e all’immagine poetica, prescrivendo quasi un approccio mitizzato, personalista e metafisico alla poesia. Pertanto il testo poetico sarebbe un’entità di livello superiore, quasi un prodotto demiurgico, ispirazione e fantasia pure e assolute, mai contestabili o tangibili, avvolto da una nebulosa misteriosa costituita da pura materia emozionale e perciò assisa su di un trono ben più elevato nel consesso generale delle arti umane. Giocoforza la deontologia che viene ereditata da questo tipo di atteggiamento è vicinissima a quella della medicina medievale dove, se la poesia è corpo anatomico inerte, il poeta è il cerusico che fa dell’inoperabilità e dell’intangibilità proprio gli archetipi antitetici di un personale oggetto di studio approfondito, volto quasi a conferire a esso maggior coinvolgimento, attraverso un atteggiamento che a contrario non può e non deve prescindere da qualsiasi contatto pragmatico con cose e persone. Come l’amico Mario Moretti (proprio perché quanto accennato prima è sempre ben presente nei suoi versi) ritengo che il distacco funzionale e volontario dal rerum naturae, sia imperdonabile e che alla lunga possa generare tanti cadaveri poetici quanti ne sia in grado di creare solo l’ottusa ostinatezza di un medico, il quale si rifiuta di affondare le mani nel corpo umano per capirne i funzionamenti. Leggere le prime liriche di questa raccolta è cosa sufficiente per comprendere a pieno l’animus poeticus del Moretti, il quale fluttua tra riverberi di puro lirismo per nulla affievoliti, accenti leopardiani, rintocchi gucciniani, e momenti di maturo ed elevato esistenzialismo. Egli ben conosce la gravosa responsabilità che risiede sulla essenza del poeta, infatti se l’assume in pieno senza mai dimenticare che il substrato della poesia è proprio costituito dalle emozioni, le stesse che lo distanzieranno dal cerusico medievale di prima… Le stesse che gli hanno permesso di “mettere le mani” non su di un corpo anatomico inerte, ma su di un fluire storico-sensoriale in continuo e infinito divenire.

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