L'ultimo rivellino
Pasian di Prato, 2025; br., pp. 80, cm 11,5x16.
ISBN: 88-456-1872-2
- EAN13: 9788845618727
Periodo: 1800-1960 (XIX-XX) Moderno,1960- Contemporaneo
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Anno 2040. Sebastiano Scalvini gestisce l'azienda agricola di famiglia, ubicata nel settore del Quarto Rivellino lungo la cortina esterna di Palmanova. L'accordo stipulato con la MO.CH.AGE. (Montasio Cheese Agency) dà l'impressione di non bastare al protagonista in tempi in cui lo SBEF, droga sintetica ricavata dagli scarti di lavorazione del mais, pare decisamente in ascesa sul mercato che conta davvero. Oramai dismesso, il campanile di Mortegliano, rilevato dalla MO.CH.AGE. stessa e adibito a sede operativa, fa da orizzonte ad un viaggio che accoltella il plumbeo precipitare di una notte priva d'albe mentre, disposte verticalmente lungo la sua imponente altezza, le enormi lettere che compongono l'acronimo dell'Agenzia illuminano a giorno un cielo cianotico. Un'insolita coppia di investigatori, fuggiaschi loro stessi da un mistero che li stana senza inseguirli. Un alto dirigente assassinato. Lo SBEF. Arroccato oltre gli abissi di un buio svettante, l'agonizzare di un amore che una notte malata guarirà per sempre. Un posto migliore: ecco come avrei voluto rendere la mia vita; un posto tiepido, pulito il giusto e spoglio dalle orme di un passato intestardito e tre facciate, dottoressa. Riassumere cinquantasette anni in sole tre facciate significa che in ognuna di esse dovrò farcene stare per forza diciannove, di anni e a diciannove anni già c'ero, già ci davo dentro: già ce la mettevo tutta per sentirmi impreparato alle spallate di un'età che si divertiva a prendermi a spintoni e che ne so, forse sto sbagliando. Forse per iniziare a spiattellare rigurgiti di me su questo foglio avrei dovuto partire da lei, dalla mia adorata Franca: la bambola con la quale giocavo da poppante o poco più e che mai mi ha tradito. Mai, nemmeno una volta così come la mia solitudine nonostante gli intenti ed i rimproveri mancati, rincasati puzzando d'alcool, trinciato forte e nomi ingentiliti strappa palle e degli amici. Certo. Mica son morosis, quelli ed a procurarseli sono buoni tutti persino io che a forza di piangermi addosso ho prosciugato secchiate intere di dignità corrosa e ad avercene avute, di dignità da corrodere e di infanzie come quella che un tempo magnanimo mi ha lasciato in dote. Sono stato un bambino malaticcio e coccolato, fino a quando mi è stato concesso di continuare ad esserlo, un bambino e può servire, sì? Può davvero servire a qualcosa se snocciolo episodi di un'adolescenza incenerita poi come tante nello stallo rovente dei suoi stessi sogni avidi di luce macilenta e no; un uomo particolarmente ordinato non ho mai saputo e voluto essere altrimenti una spazzolata alla memoria per disincagliarla dalla flaccida morsa di certe cianfrusaglie mi sarei probabilmente deciso a darla, prima o poi ma mi ci affeziono, io alle cianfrusaglie, alle solitudini dalla fedeltà tranciante e pure ai nomi ingentiliti strappa palle. Minimo una riga, a voler essere pignoli e massimo tre facciate; il perimetro dello steccato dentro al quale mi è stato concesso di lasciar pascolare i miei ricordi ruminanti questo è e ce li lascerei bivaccare anche, se solo il silenzio brullo che ne stipa l'avvenenza rampicante si dimostrasse un po' meno rapace e se solo le radici di un futuro incanutito non sguainassero cocciutamente germogli troppo impassibili da dover brucare. Massimo Govetto è un contadino. I solchi i suoi corsivi, i righi le stagioni