Tretìppe e martìdde
Giulio Perrone Editore
Roma, 2009; br., pp. 124.
(Uranò).
collana: Uranò
ISBN: 88-6316-055-4
- EAN13: 9788863160550
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Il rischio che negli ultimi anni sta correndo la poesia dialettale è l'impossibilità della sua ricezione. Come ha eminentemente esposto e ammonito già alcuni anni fa Franco Brevini, i dialettali del nostro tempo rischiano di scrivere per un pubblico di specialisti che nemmeno parlano e intendono la loro lingua, mentre le comunità linguistiche, in seno alle quali nascono i loro versi, mai leggeranno le pagine dei propri concittadini. È una contraddizione trovare un lettore lombardo per un dialettale pugliese, sapendo che migliaia di potenziali lettori, con la facoltà di intendere anche le allusioni, i sottotesti di quella lingua, non diventeranno mai reali. In un momento in cui la stessa poesia in lingua trova scarsissimo se non nullo accesso alla comunità dei lettori, è un azzardo doppio versificare in vernacolo. Ma la poesia, si sa, non trova nutrimento in tali sociologiche divagazioni. La sua genesi trova altre motivazioni. Mastropirro, del resto, ha esordito in lingua con una silloge, Nudosceno, che si discostava dalla media produzione lirica per un tono violento, non accomodante, per un'attenzione al corporeo fino allo scandalo, per un'amarezza irreversibile che si tramutava in un atto di accusa nei confronti dell'umanità, rea di aver mercificato tutto, fino ad una oscena prostituzione di se stessa. Con il passaggio al dialetto avviene una rivoluzione copernicana di cui non si può non tenere conto.