Le ambiguità del pacifismo
Minerva Edizioni
Argelato, 2011; br., pp. 152, ill., cm 14x21.
ISBN: 88-7381-395-X
- EAN13: 9788873813958
Soggetto: Saggi Storici
Periodo: 1800-1960 (XIX-XX) Moderno,1960- Contemporaneo
Luoghi: Italia
Testo in:
Peso: 0.68 kg
Era una luminosa giornata di settembre del 1961 quando quindicimila persone percorsero i 21 chilometri che distano fra Perugia e Assisi. La prima marcia della pace fu l'atto di fondazione del pacifismo italiano. In testa a quel lungo serpentone c'era l'animatore e l'inventore di quella manifestazione: il filosofo nonviolento Aldo Capitini. Con lui giovani e intellettuali (da Bobbio a Calvino), rappresentanti dei partiti anche se non tutti aderirono, vedi la Dc e intere famiglie operaie e contadine col vestito buono e i loro bravi cartelli. Non che prima di allora non ci fossero stati gruppi pacifisti: c'erano i sedicenti partigiani della pace, figli del Pci, e alleati di Mosca, c'erano piccole aggregazioni di nonviolenti. Ma il 24 settembre del 1961 nacque il pacifismo come movimento di massa. Un buon esordio, ma subito dopo iniziarono scontri e strumentalizzazioni. Capitini, ghandiano doc non riuscì ad organizzare una seconda marcia Perugia-Assisi, paralizzato dai veti incrociati. L'iniziativa rispuntò dieci anni dopo la sua morte con caratteristiche profondamente diverse. Con alcune luci e tante ombre. Ne nacque un movimento largamente egemonizzato dal Pci. Silenzioso verso le violazioni dei diritti umani nell'Est comunista e caratterizzato da un forte spirito antiamericano: manifestò contro gli euromissili degli Stati Uniti, ma non proferì verbo contro gli SS20 sovietici che erano stati istallati prima della decisione di Carter di mettere i Pershing e i Cruise in Europa.