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Scritti di Mencio

Luni Editrice s.r.l.

Traduzione di Tucci G.
Milano, 2015; br., pp. 224, cm 14x21.
(Sol Levante).

collana: Sol Levante

ISBN: 88-7984-469-5 - EAN13: 9788879844697

Testo in: testo in  italiano  

Peso: 0.53 kg


Confucio, vissuto nel VI sec. a.C., imperniò la sua dottrina in una scrupolosa gerarchia sociale, la cui prima base è la famiglia, ove si formano quei sentimenti di subordinazione e di rispetto che, portati nella vita civile, divengono obbedienza cieca verso i superiori per età o per dignità. Nulla è l'individuo, tutto lo stato. La vita deve essere sottoposta alla più scrupolosa osservanza dei doveri e regolata da un complesso cerimoniale che dirige ogni atto dell'uomo saggio.
Mencio, vissuto quasi due secoli dopo il Maestro, è uno dei più grandi dottori del Confucianesimo. Anche in lui troviamo lo stesso rispetto per le tradizioni, ma è più moderno e spazia con il pensiero più liberamente che non il suo Maestro.
La ricerca filosofica, come è noto, è intimamente connessa con le condizioni storiche e le vicende politiche di un popolo, per quel rapporto costante che sempre corre fra il mondo delle idee e il mondo dei fatti. È chiaro quindi che il pensiero cinese del IV e III sec. a.C. dovesse risentire delle speciali condizioni politiche contemporanee.
Mencio voleva la riforma dei costumi e insieme il miglioramento delle condizioni politiche ed economiche. L'ideale che vagheggiava era quello di una confederazione fra i vari stati della Cina, in cui regnasse il massimo accordo e la massima devozione per l'Imperatore.
Il principe è lo specchio dei sudditi: se egli è un rigido custode della virtù e della giustizia, imparziale, abile riordinatore dell'amministrazione, e soprattutto si adopera per una riforma dell'agricoltura, i popoli degli altri stati si sottometteranno al suo dominio.
Mencio invece riteneva l'animo umano essere propenso al bene, per quegli innati sentimenti di pietà, equità, sincerità, prudenza, che costituiscono le doti essenziali del nostro spirito. Se i tempi sembravano contraddirlo, la causa si doveva ricercare nel fatto che i popoli mancavano di un governo assennato che li incitasse al bene, mancavano soprattutto di quella prosperità economica senza la quale nessuno - a eccezione del saggio - può seguire la virtù. Egli credeva necessaria una riforma economica la quale avesse per base una più equa ripartizione delle ricchezze, e proponeva una nuova divisione delle terre e l'abolizione dei tributi fissi che i coltivatori dovevano pagare annualmente allo stato.
La presente traduzione è stata condotta direttamente sull'originale cinese dal grande orientalista Giuseppe Tucci, che scrive, nell'Introduzione: "Ho cercato di mantenermi fedele al testo, del quale ho volute dare, nei limiti del possibile, una traduzione letterale. Ho ridotto al minimo le note, limitandole a quei soli casi in cui mi sono sembrate necessarie per un'esatta comprensione del testo, evitando ogni discussione di carattere più specialmente scientifico, non adatta per un libro che - come questo - non è fatto per i sinologi - ma solo mira a far conoscere a quanti amano la cultura, uno dei più grandi pensatori della Cina".

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