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Adolphe Appia. 1906 Spazi ritmici

Alinea Editrice

Firenze, 2007; br., pp. 104, cm 22x24.

ISBN: 88-6055-099-8 - EAN13: 9788860550996

Soggetto: Architetti e Studi,Fotografia,Teatro

Periodo: 1960- Contemporaneo

Testo in: testo in  italiano  

Peso: 0.46 kg


Un suggestivo catalogo fotografico, dedicato all'opera sperimentale sviluppata dall'importante scenografo svizzero Adolphe Appia (Ginevra 1862-Nyon 1928), raccolto, commentato ed illustrato da Luigi Salvagnini insieme ai propri collaboratori ed agli studenti del corso di Scenografia da lui diretto presso il Politecnico di Milano. Una vera sfida didattica e strorica tesa a restituire dimensione e qualità spaziale - seppur in scala ridotta - ai "progetti pittorici" degli Espaces rythmiques di Adolphe Appia, la serie di bellissimi disegni sviluppati dallo scenografo svizzero tra il 1906 e il 1910 e che esprimono al meglio la sua ricerca sui temi della rappresentazione drammaturgica e musicale. Un esercizio arduo proprio per la mancanza di elaborati grafici in pianta, prospetto e sezione e per la qualità metafisica e quasi impalpabile delle prospettive di Appia, infine per l'assenza nei suoi scritti di descrizioni puntuali di questi progetti, a cui va aggiunto il numero ridotto di scenografie che Appia riuscì a concretizzare e di cui esiste scarsissima documentazione in grado di fornire dati utili all'interpretazione del passaggio fra concezione e realizzazione.
Adolphe Appia è stato uno dei primi artefici della nuova scena sorta in contrapposizione al naturalismo del teatro ottocentesco. La sua poetica si basa sul principio della piena autonomia artistica del quadro scenico e le sue scenografie non sono più fondate sul concetto di mimesi con la natura, ma sulle qualità artistiche insite in esse, in coerenza con lo spirito del dramma. Con Adolphe Appia ed Edward Gordon Craig ha origine un nuovo concetto di regia, secondo il quale la rappresentazione non è più subordinata ad un direttore, ma tutti gli elementi dello spettacolo sono uniti da un unico principio estetico in quanto fatto artistico, fino al raggiungimento di una completa autonomia dell'espressione scenica. Dopo la morte di Appia, Jacques Copeau disse di lui: " Egli ci ha riportato ai grandi ed eterni principi. Ora noi siamo in possesso di un principio scenico, siamo in pace. Possiamo lavorare sul dramma, sull'autore, invece di lambiccarci eternamente il cervello su formule scenografi che più o meno originali, su nuovi sistemi. Tutto ciò che è stato fatto dopo di lui ha avuto origine da lui, ed è stato, col passare del tempo, più o meno deformato." All'idea di una scena intesa come fatto artistico autonomo, portò il proprio apporto il pensiero di filosofi come Schelling e Hegel, secondo i quali, nel nuovo concetto di arte, il "vero" si identifica con "l'idea", pertanto, scopo dell'arte non deve essere la pura imitazione, ma più profondamente l'espressione di un ideale. L'arte non è imitazione della natura, ma purezza e astrazione. Così, gli artisti aderiscono a una nuova realtà, non più imitativa, ma più approfondita e completa, che cerca il vero oltre la realtà apparente. E' quello che Appia si auspica per il suo teatro, affrancando il quadro scenico da ogni convezione e da ogni ricerca di verosimiglianza. Nel suo quasi eccessivo moralismo, egli si scaglia contro la rappresentazione topografica e storica del luogo drammatico, che fino a quel momento la scenografi a romantica aveva portato avanti e che aveva avuto in personaggi come il duca Giorgio II von Meiningen.

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