Gocce di pietra
Reggio Emilia, 2023; br., pp. 70, cm 14x22.
EAN13: 9791281566149
Testo in:
Peso: 0.14 kg
Ho incontrato l’inchiostro di Luigi Pullia poco tempo fa in occasione di una convention della Universum Academy di cui lo stesso è ambasciatore. Solo successivamente lo stesso mi espresse il desiderio di vedere pubblicate le sue liriche. Fu sufficiente una breve lettura e mi resi subito conto di essermi piacevolmente “imbattuto” in un animus poeticus particolare per la sua spontaneità e per la sua singolarità. Non è stato affatto difficile notare l’originalità dei suoi versi e così, pian piano, è nata anche una bella amicizia e stima reciproca, fatta di confronti quotidiani e di riflessioni, che di certo ci hanno vicendevolmente arricchito. Oggi, sono qui, con il compito di illustrarvi o, per meglio dire, di descrivervi la sua poetica. Devo dire che ciò non è mai cosa semplice, in generale, e nel caso di “Gocce di pietra”, proprio per le profonde riflessioni poetiche che sono simbioticamente intersecate con i più attuali studi filosofici e psicologici (cosa del tutto naturale e spontanea, vista la qualifica professionale dell’autore che è appunto quella dello psicanalista), da critico osservatore e scevro da qualsivoglia influenza o contaminazione esterna, è un progetto poetico originale che, quasi per un’alchemica empatia descrittiva, riesce ad avvicinare il lettore allo stesso. È palese l’indagine introspettiva, che ha condotto il poeta, orientata a costruire una sorta di dimensione lirica atipica ma potente a tal punto da sentire riverberare nell’anima i rintocchi di questa sua riflessione poetico-narrante, in cui lo stesso poeta, senza ricercate licenze o preziosi proselitismi, ben descrive l’universo intero, così come lo percepisce, lo vede… lo vive. La semantica delle parole è dimessa, quasi familiare, armonica, mai pesante o capziosa. Luigi scrive con una “semplicitas” quasi petroniana. Dunque una sorta di “odi et amo” di catulliana memoria verso la vita, il mondo che lo circonda, la famiglia e l’universo delle sue passioni, sempre intimamente connesse, con vere e proprie proiezioni pindariche che “danzano” a livello pluridi-sciplinare. La parte più onirica del suo poetare si articola autorevolmente partendo da una sorta di una nuova “recherche du temps perdu” per poi raggiungere quello che, per tanti, può essere considerato un vero e proprio “mal du vivre”. Le tappe intermedie fra questi due momenti non sono futili ammennicoli ininfluenti ed estemporanei, al contrario rappresentano il tessuto vitale, il substrato emotivo, o, per meglio dire, la struttura poetica di una silloge che sono certo saprà aprirvi a nuove riflessioni. Questo è un paradigma molto vicino a quello che è proprio il pensiero di un grande della psicanalisi riguardo alla poesia e alle arti in generale. Sto parlando di Sigmund Freud, il quale riconosceva ai poeti in particolare – e agli artisti in generale – una “naturale” inclinazione alla conoscenza inconscia della complessità della psiche umana. Infatti, lo stesso scriveva:
“… i poeti sono alleati preziosi e la loro testimonianza deve essere presa sempre in attenta considerazione, giacché essi sanno in genere una quantità di cose, tra cielo e terra, che il nostro sapere accademico neppure sospetta”.