Congetture sul perduto amore e ritorni
Renato Gabriele
Genesi
Torino, 2015; br., pp. 120, ill.
(Humanitas. 8).
collana: Humanitas
ISBN: 88-7414-483-0 - EAN13: 9788874144839
Soggetto: Teatro
Testo in:
Peso: 0.58 kg
Virtù che prorompe teatralmente in scena con il Porompompero di Amalasunta Cordero-Belculfiné, nella seconda piéce, Ritorni: lo spettatore è costretto a piegarsi alla volontà del drammaturgo, che ritorce in comicità ogni umana tragedia. Anche in questo caso è evidente il lontano richiamo a Tiresia, l'indovino che ha vissuto - unico uomo al mondo - la pienezza dei piaceri sensuali per essere stato per un periodo uomo e per un altro periodo donna; personaggio che ha conosciuto il privilegio di piacere agli dei e la tragedia di cadere in loro disgrazia e di ricevere da loro la cecità come castigo, ma poi mitigata dal dono dell'arte divinatoria. L'antico indovino non se ne farà nulla, perché la follia umana non saprà mai riconoscere la validità dei suoi poteri. E non diversamente accade al suo comicissimo emulo del ventesimo secolo, il professore Tiresio, anonimo docente di materie letterarie in un liceo, ma anche dilettoso poeta d'alto e tragico ingegno ancorché totalmente ignoto al bel mondo delle lettere, ma intervistato da un petulante apprendista giornalista, che è freelance presso il foglio commerciale L'Araldo del Consumatore. L'infermità subita da Tiresio come prezzo da pagare per i suoi meriti che competono con il potere degli dei non consiste nella cecità, ma in una semplice caviglia gonfia, forse gottosa o forse offesa in chissà quale guerra mai disputata, particolare che moltiplica la comicità dell'individuo, il quale - in quel gioco pirandelliano delle parti che Gabriele sa sviluppare con impagabile maestria - finirà per scivolare nella più nera delle tragedie reali, quando freudianamente si ricorderà di avere stuprato e ridotto in servitù la propria figlia devota. Tutto finisce in un canto di sirene, in una coda di pesce, in una verità negata, riflessa, estroflessa. Il grande circo della vita, nella colorata interpretazione che ne fa Renato Gabriele, è come un numero di pagliacci-acrobati, sospesi tra Don Chisciotte e Achille, tra l'ironia e la tragedia. Forse, dannunzianamente, c'è una luce che splende sotto il moggio, ma la scrittura del poeta va verso il nulla del suo fasto affabulatorio, come per dire che se c'è la verità, essa non è nella coda di pesce del poeta che è una sirena, solo capace di ammaliare con la suprema grazia del suo canto dispiegato al più ampio ventaglio di soluzioni contraddittorie ed equivalenti.
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