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Cade una nuvola

Di Carlo Edizioni

Reggio Emilia, 2023; br., pp. 252, cm 14x22.

EAN13: 9791281566200

Testo in: testo in  italiano  

Peso: 0.38 kg


Il mondo poetico di Ermanno Spera è un mondo chimico, dove gli elementi, i più comuni, si fondono a creare materia sempre diseguale. Egli li pone a reagire secondo un suo procedimento intimo e personale dal quale però non esclude il lettore, che, libero di coglierne l’essenza suggerita dall’autore, può trasformarla e farla propria in forma di emozione unica. È un mondo quantistico dove ogni lirica trasmette energia pura, in forma di quanti appunto, capaci di indurre transiti emozionali fra i livelli spirituali del lettore che ne definiscono l’essenza stessa e ne sono i suoi tratti unici e caratterizzanti, persino un mondo alchemico, a tratti arcaico, ancestrale, forse selvaggio dove l’autore si muove secondo leggi anche a lui solo parzialmente note, guidato da puro istinto d’avventura. Libero dalle convenzioni, alla ricerca della soluzione definitiva alla pace dell’animo, della pietra filosofale che possa trasformare l’inquietudine in serenità, o più semplicemente di una bussola che consenta di dare ordine a quel fenomeno, per antonomasia entropico, che chiamiamo vita. Una silloge poetica Cade una nuvola in cui sono molti i punti di riflessione, un vortice di emozioni, ci si sente proiettati dentro sensazioni e vicissitudini interiori ed esteriori che ognuno di noi ha con sé. Ho curato personalmente la traduzione in sardo logudorese della poesia che Ermanno dedica ai suoi nonni materni. Il sardo è una lingua che mal si presta alle traduzioni letterali, è una lingua povera di lemmi. Una lingua senza sfumature, una lingua in bianco o nero, una lingua franca e sincera. È una lingua come il pane “carasau” essenziale, duraturo, fidato. Un pane che sfama per mesi chi, per mesi, deve accudire al gregge, condividendone il peregrinare nelle campagne senza il quotidiano conforto serale del focolare, della famiglia, della casa. Il pane dei pastori. Il pane di chi è costretto in solitudine e, con la solitudine, all’introspezione, al silenzio. A che serve una lingua se non hai con chi parlare? Serve a parlare con se stessi, con la propria anima, serve al poeta. Una lingua per esprimere emozioni intime, pudicamente segrete. Una lingua iniziatica dove la complessità del concetto viene trasmessa, non solo o non tanto, con la parola ma con la musicalità della frase e, di più, con una sorta di telepatia fra chi parla e chi ascolta, specie se chi parla e chi ascolta sono la medesima persona. Mi son trovato così sull’uscio del mondo di Ermanno dapprima come un semplice interprete davanti ad una porta a vetri, luminosa, facile da varcare. Ho cominciato a tradurre, ma non funzionava mancava sempre qualcosa e la ricerca di quel qualcosa, ha inesorabilmente trasformato la luccicante porta nella soglia di un antro scuro, l’accesso a un nuraghe. Ho lasciato che le parole di Ermanno mi entrassero dentro, che divenissero le mie e così ho visto nonna Rosina con i capelli canuti, ma curati in una pettinatura che, ricordando la bellezza della sua gioventù, la arricchiva nel merletto delle sue rughe. E ho visto nonno Eugenio, nella sua senile debolezza, rifulgere della forza di nobile Cincinnato, temprata dai sacrifici in miniera e in guerra. E ho visto le mani tese a trasmettere, come da radici a foglie e frutti, la linfa vitale fra generazioni. Così, per una scala stretta, tortuosa, opprimente ho scalato il nuraghe fino a raggiungerne la sommità e godere dell’ennesima emozione fatta di ampi spazi luminosi e di profumi unguento dell’anima.

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