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La giustizia secondo Maria. Pola 1947: la donna che sparò al generale brigadiere Robert W. De Winton

Del Bianco Editore

Colloredo di Montalbano, 2008; br., pp. 134, cm 16,5x23.
(Civiltà del Risorgimento. 87).

collana: Civiltà del Risorgimento

ISBN: 88-95575-13-X - EAN13: 9788895575131

Soggetto: Saggi Storici

Periodo: 1800-1960 (XIX-XX) Moderno

Luoghi: Italia

Testo in: testo in  italiano  

Peso: 0.33 kg


10 febbraio 1947: a Parigi l'Italia subisce le conseguenze dei suoi sbagli in un modo che oltrepassa ogni più funesta previsione punitiva.

A Pola, quella stessa mattina, una donna, Maria Pasquinelli, dannava la sua vita e la sua anima per gridare al mondo la disperazione di un popolo per l'ingiustizia subita. La Pasquinelli sparò, infatti, tre colpi di pistola al generale Robert W. De Winton, uccidendolo: l'ennesima vittima della guerra, com'ebbe poi a riconoscere anche la moglie. Un uomo la cui colpa, agli occhi della sua assassina, non era in alcun modo individuale -- lei nemmeno lo conosceva -- bensì derivava dall'essere il rappresentante in loco dei "quatto grandi" che così pesantemente avevano infierito sul destino di un'intera comunità.

Un gesto sicuramente inutile e senza sbocco ma che, per i suoi connotati e i suoi sviluppi, costituisce una parte non secondaria, almeno dal punto di vista simbolico, della vicenda istriana del Novecento. Una storia struggente anche perché i sentimenti della protagonista, puri e idealistici, parevano ormai del tutto anacronistici in un mondo che aveva subito le stragi e le catastrofi provocate dalle ideologie totalitarie e che doveva rifondare la civilizzazione su basi radicalmente nuove, anche se gli inizi non furono poi così promettenti (in verità, nemmeno la continuazione).

"Qui veramente è il tragico errore della Pasquinelli: di avere considerato gli uomini come lei gli avrebbe voluti, come i ricordi della storia del Risorgimento le suggerivano dovessero essere e non quali, purtroppo, sono in realtà": in questo passaggio dell'arringa dell'avvocato Giannini, difensore della Pasquinelli al processo che la condannerà a morte (pena poi commutata in ergastolo), si coglie il paradosso ideale che la rese di fatto quasi predestinata a gesti alquanto insensati ma destinati a restare nella memoria storica come simbolo di valori che trascendono la sfera individuale per ergersi a rappresentare un popolo vinto e deluso, in ossequio al principio da lei professato di amare l'Italia più di se stessa.

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