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Dalla città alla metropoli. Il caso di Chicago

Alinea Editrice

A cura di Denti G.
Firenze, 2005; br., pp. 120, ill., cm 17x24.
(Momenti di Architettura Moderna. Quaderni. 7).

collana: Momenti di Architettura Moderna. Quaderni

ISBN: 88-8125-862-5 - EAN13: 9788881258628

Soggetto: Città,Saggi (Arte o Architettura)

Periodo: 1800-1960 (XIX-XX) Moderno,1960- Contemporaneo,Nessun Periodo

Luoghi: Extra Europa

Extra: Arte Americana

Testo in: testo in  italiano  

Peso: 0.44 kg


Chicago rappresentava un punto di riferimento importante per la generazione di studenti universitari che negli anni '60, movendo dalla realtà italiana in fermento, affrontava il problema della "dismisura" metropolitana. Quando, nel 1963, la Facoltà milanese sollevava interrogativi radicali sull'architettura della città, l'area urbana di Chicago contava otto milioni di abitanti. E pensando che dal 1886 al 1900 era passata da 500.000 a 1.700.000 abitanti, se ne percepiva la dinamica inarrestabile, insieme all'anticipazione di eventi insediativi inconfrontabili con la resistente modificazione delle città europee, benché nel periodo già si manifestassero fenomeni tendenti a mutare le frange urbane esterne in quella proliferazione metropolitana che sarebbe divenuta oggetto privilegiato delle indagini successive. L'incontro con Chicago si é così determinato a vari livelli. Anzitutto, attraverso gli studi storici acquisiva assoluta rilevanza la sigla culturale della Scuola di Chicago: una città si offriva attraverso la sua architettura, assumendone i tratti emblematici. Sembrava il migliore auspicio per chi già inseguiva la elaborazione architettonica nel rapporto con la struttura urbana. Divenuta uno dei vessilli della sperimentazione progettuale, la scuola di Chicago offriva oltretutto un articolato ventaglio di protagonisti, quali Le Baron Jenney, Burnham, Holabird, Roche, Sullivan, che pur da posizioni distinte e talvolta antagoniste, avevano dato luogo a una fioritura di esperienze nuove ed univocamente orientate. L'Home Insurance Building (1885) veniva considerato il luogo concettuale dove si postulava la coincidenza tra ideazione tecnica dell'edificio e tipo edilizio implicando l'iterazione standardizzata. Le costruzioni sviluppate in verticale che applicavano principi moderni, rispondevano infatti ad alcuni requisiti essenziali: lo scheletro in acciaio, il tamponamento leggero indipendente dalla struttura, la nuova logica delle fondazioni. La violazione del suolo urbano operata per ospitare spazi sotterranei che moltiplicavano gli ambienti sovrapponendoli in verticale anche in profondità, imponeva l'adozione su vasta scala degli elevatori meccanici, mutando radicalmente la stessa dinamica delle relazioni interne all'edificio. Sorgeva a Chicago nientemeno che il "grattacielo", oggi modello largamente acquisito e diffuso, ma nell'anno 1885 da considerarsi autentica anticipazione. spaziale della modernità. Un ulteriore incontro con Chicago era avvenuto attraverso il piano di Burnham in cui la critica di settore riconosceva il primo grande esperimento di governo del paesaggio che dalla dimensione urbana si estendeva a quella metropolitana. Per gli architetti europei rappresentava l'incontro ravvicinato tra architettura e urbanistica alle nuove scale proposte dalla modernità, perché si fondava sul principio del controllo architettonico del centro e sulla definizione di ruoli specifici attribuiti alle parti della città: la grande soglia monumentale affacciata sul lago Michigan, o i parchi urbani promossi a componenti fondamentali della struttura complessiva, o i boulevards capaci di definire un'inedita gamma di rapporti tra centralità ed estensioni multiple. Anche la grande piazza, ispirata a modelli parigini, assumeva la perentorietà di un perno nel quale convergevano ben dieci assi primari che strutturavano il tessuto esistente e quello di nuova formazione: un condensatore di significati simbolici, legati a direttrici, percorsi, interconnessioni tra le diverse componenti della città. La Scuola di Chicago aveva appunto "fatto scuola", perché l'esperienza qui storicamente attuata veniva considerata in tutto il mondo una sintesi avanzata tra innovazione architettonica e produzione urbana, entro il dilatarsi spazio-temporale dell'era metropolitana. La positività storica attribuita al caso di Chicago veniva nondimeno intaccata dalla lettura del libro di K. Lynch e LI. Rodwin The future metropolis, pubblicato in Italia nel 1964, dove un inedito aspetto contraddittorio aleggiava proprio sulla città antesignana dei grattacieli, che da studenti immaginavamo modello cristallino, esente da contaminazioni. Chicago vi veniva citata infatti come luogo di propagazione di fenomeni degenerativi (tossicodipendenza, emarginazione, delinquenza, ecc.). Ancora una volta anticipava eventi che poi sarebbero divenuti comuni dovunque si producessero le contraddizioni indotte dalla nuova dimensione. Si trattava del rovescio della medaglia che E.C. Banfield chiamava "le implicazioni sociali e politiche dello sviluppo metropolitano", confrontando i 456 tossicomani dell'Intera Inghilterra con gli oltre 12.000 della sola Chicago. Riportato al periodo, il dato rivelava un problema drammatico, oggi ben noto e intrinseco alla condizione metropolitana, di cui tuttavia non vale a sminuire le generali valenze positive. Un altrettanto significativo incontro con Chicago avveniva nel 1967, anno in cui appariva in Italia, con prefazione di A. Pizzorno, la raccolta di saggi The City, risalente al 1925. Caricata di significato quasi epico, fin dalla titolazione conferiva speciale valore all'esperienza urbana di Chicago che nel volume trovava molti diretti riferimenti, fino ad essere definita, "la città come forma sociale", in un'accezione forse per la prima volta assunta in modo sistematico e programmatico. L'enunciato imprimeva una svolta alla impostazione critica convenzionale per sostenere l'intreccio disciplinare fra urbanistica, sociologia, scienze umane, allora non molto presente nelle Facoltà di Architettura. La crescita urbana era postulata non soltanto come sviluppo fisico dell'insediamento, ma come problema economico, politico e sociale. Di qui l'organizzazione dello sviluppo prendeva il via come problematica alla quale molte discipline diverse contribuivano per convalidare grandi disegni riformatori. In The City, le comunità urbane, molto studiate nei paesi anglosassoni, diventavano un tema centrale, anticipando l'approccio ecologico nello studio delle comunità urbane. Se si considera retrospettivamente il lungo tempo occorso alle implicazioni ambientali per essere accolte nel dibattito culturale sull'abitare, o se si riflette sulle difficoltà che ancora oggi incontrano davanti ai modelli politico-tecnici dominanti, è più facile comprendere come la versione italiana del libro apparisse presso le edizioni di Comunità, il movimento olivettiano che in Italia molto aveva contribuito agli studi nel settore, con assonante orientamento. Un ulteriore sguardo su Chicago veniva offerto nel 1973 dalla raccolta di saggi La città americana dalla guerra civile al new dea), pubblicato quando in Europa e negli U.S.A. dilagava ormai la contestazione culturale. A soli dieci anni di distanza, Chicago era vista in una luce diversa, come luogo deputato a sperimentare il modello di "città imperiale" (M. Manieri Elia), che Burnham e il movimento City Beautiful avrebbero perseguito attraverso gli interventi sul corpo vivo della città. Quegli elementi che si pensava fossero l'esito di una forte dinamica dello sviluppo metropolitano, apparivano ora come disegno consapevole e premeditato, colto, rappresentativo di valori e di significati simbolici. Per la nostra generazione Chicago resta il luogo di un esperimento architettonico-urbano che contrassegna un transito fondamentale nella storia del progetto di architettura: amplificando le scale, innovando i sistemi di costruzione, ponendo questioni basilari ai progettisti. Il problema del tipo utilitario e della sua riproducibilità standardizzata, si accompagna a quello della rappresentazione e del linguaggio, della tecnologia come componente autonoma e integrata dell'architettura. Chicago non è soltanto la città di origine degli skyscrapers, ancor più è il luogo dove la ragione metropolitana si fonde con la ragione architettonica. Una coincidenza essenziale per ripensare il destino dell'architettura e della città e proseguire verso orientamenti più avanzati della ricerca. Mito letterario, cinematografico ed urbanistico, Chicago ritorna alla memoria di fronte ai recenti eventi catastrofici che hanno colpito i grattacieli, originati dal suo grembo e poi assurti a proiezioni simboliche di un modello culturale essenzialmente metropolitano. Ulteriore occasione, dunque, per riflettere oggi sulla città e sull'architettura del nostro tempo.

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