Pietre Tra Le Rocce. Colloqui internazionali "Castelli e città fortificate". Storia, recupero, valorizzazione
Alinea Editrice
Fisciano, 30 aprile - 14 maggio 2004.
A cura di Ribera F.
Firenze, 2005; br., pp. 180, ill., cm 24x22.
(Cataloghi. 93).
collana: Cataloghi
ISBN: 88-8125-990-7 - EAN13: 9788881259908
Soggetto: Architettura e Arte Militare,Arte Libraria (Carte, Mappe, Codici Miniati),Restauro Tecniche di conservazione Beni Culturali,Saggi Storici,Storia dell'architettura
Periodo: 0-1000 (0-XI) Antico,1000-1400 (XII-XIV) Medioevo
Luoghi: Campania
Testo in:
Peso: 0.68 kg
È stata sempre sentita (anche se, anche in un passato non molto lontano, con non molta convinzione) la necessità di trasmettere alle generazioni a venire i monumenti ricevuti dal passato. Ma se nel primo Medioevo questa idea era viva (e ne troviamo esempio nelle "Variae" di Cassiodoro che, sollecitando Teodorico, gli faceva dire: "propositi quidem nostri est nova construere, sed amplius vetusta servare ..."), più tardi, la sua influenza diminuì e di conseguenza non si dette neppure gran peso alla spoliazione dei monumenti dai loro elementi strutturali e decorativi che venivano impiegati per la nuova edificazione come pietre da costruzione se non, peggio, addirittura per farne calcina. Teodorico fu anche uno dei primi a riconoscere che sarebbe stato positivo concedere particolari privilegi a quei proprietari che provvedevano alla conservazione di edifici ritenuti importanti dal punto di vista artistico. Come era logico aspettarsi il problema della conservazione degli edifici di pregio delle città era anche allora un problema che il popolo legava al 'buono' o al 'cattivo' governo degli amministratori (come testimoniano, in merito, gli affreschi di Ambrogio Lorenzetti nel Palazzo Pubblico di Siena). Nei secoli successivi si ebbero altre prese di posizione a favore delle opere d'arte (di vario genere) soprattutto da parte di pontefici e cardinali2, anche se, com'è noto, bisognerà attendere la fine XVIII secolo per la nascita di una coscienza della conservazione e del restauro intesi come azioni volte a preservare ed a trasmettere al futuro una testimonianza del passato. Con le Carte Internazionali, promulgate a partire del 1931, e le successive Dichiarazioni, Documenti e Carte Nazionali si sono poi via via elaborati i fondamenti teorici e gli approcci metodologici per la Conservazione ed il Restauro dei beni architettonici ed ambientali; tali principi, che rimangono a tutt'oggi per la maggior parte validi, sancirono il progressivo ampliamento del concetto di 'monumento' e la definizione degli obiettivi della conservazione del patrimonio alla luce delle nuove esigenze che andavano emergendo nel contesto culturale della fine del XX secolo. Da oltre cinquant'anni il dibattito sulle 'preesistenze' è cominciato a farsi più vivo rispetto a quello del passato; nello slogan: "risanare corrisponde a conservare", il verbo 'conservare' aveva ancora in sé il significato del "mantenere qualcosa in modo che non subisca alterazioni", eredità di un atteggiamento culturale chiaramente di accademia ottocentesca. Se si fosse restati fermi su questa definizione il 'conservare un bene' sarebbe equivalso, al limite, al ridurlo in uno stato di inerzia o, più nobilmente, allo stato di cristallo, praticamente immutabile nel tempo e, quindi, senza una chiara proiezione attiva nel futuro (conservazione passiva). Fortunatamente poco più tardi, negli anni '70, si cominciò a capire che questo tema doveva lasciare il posto ad un altro che facesse riferimento alla vita palpitante del bene. Fu così proposto un nuovo motto in cui si ritrovava il principio delineato: "conservare corrisponde a riusare". Questa nuova posizione determinava uno stravolgimento profondo dell'operare classico nel campo del 'conservare' riferito alle 'preesistenze'. Addirittura possiamo dire che il 'conservare', attraverso l'altro verbo 'riusare', veniva arricchito dal concetto di 'utilità all'attualità' o, meglio, di un'utilità che ci si proponeva di far continuare nel futuro e che, quindi, aveva un significato denso di contenuti non 'statici', ma 'dinamici' (conservazione attiva), che proponevano il godimento dei valori architettonici sia dal punto di vista contemplativo, sia da quello, non trascurabile, materiale. Fatte queste premesse, è da notare che quando, da architetti o da ingegneri, pensiamo all'uso di un qualsiasi bene tendiamo a riferirci subito allo stabilirsi di un rapporto di materiale convenienza tra noi ed esso. Infatti la domanda che più spesso ci poniamo è affatto generica ed è così articolata: "perché usiamo questo bene?"; a questa domanda segue l'altra che cerca di farci entrare più nello specifico: "lo usiamo perché lo conosciamo bene?", o l'altra ancora che denuncia la nostra (de)formazione culturale: "siamo riusciti ad ottimizzare il suo funzionamento?". A questa serie di interrogativi fa da contrappunto un'altra domanda: "è proprio perché conosciamo l'oggetto che vogliamo riusarlo?"; ed infine l'ultima: "quali sono i livelli di beneficio che ci derivano dal ri-usarlo?". Ma l'uso (e a maggior ragione il riuso) di un bene può non essere limitato alla materiale convenienza e, quindi, essere fisico o solo fisico, ma può coinvolgere, così come abbiamo accennato, anche e più profondamente, la sfera del fantastico, dell'ideale, o solo quella (e allora ci si eleva nella pura contemplazione e i 'benefici', perciò, possono essere immediatamente solo morali), anche se non sempre può essere fatto un preciso distinguo dei confini dell'uno rispetto a quelli dell'altro. All'uso fisico, comunque, corrispondono sempre reazioni più o meno elevate a livello di psiche. Abbiamo adombrato in precedenza, con le domande che ci siamo posti, che alla base della conservazione finalizzata all'utilità vi deve essere uno studio fondato sulla completa 'conoscenza' del bene, uno studio che non solo mira a far riacquistare la disponibilità di capacità perdute dal costruito per l'apporto di 'migliorie' (se si limitasse a questo si correrebbe il rischio di tendere verso la imbalsamazione del bene), ma anche a far scoprire in esso tutte le sue potenzialità per l'attualità. A volte, però, il riacquisto di capacità perdute è solo apparente e i nuovi possibili ruoli (nuove destinazioni d'uso) si presentano non appropriati alla 'struttura' fisica e organizzativa del bene. A tal proposito, quindi tra diversi possibili modelli di nuovo uso o di riuso per uno specifico bene sono necessarie risposte in termini di 'compatibilità'. Si viene così a proporre una sorta di valutazione d'impatto tra la 'struttura esistente' e una serie di modelli di riuso. Occorre ricordare che nel connubio 'nuovo/antico' deve essere proprio il primo a dare attualità al secondo a riprova che ci troviamo di fronte ad una conservazione diversa da quelle tradizionalmente intese. Queste riflessioni costituiscono un'imprescindibile premessa al tema della conservazione dei castelli e delle città fortificate che rappresentano un patrimonio con caratteristiche di particolare delicatezza per l'antichità delle strutture, per le difficili condizioni di conservazione in cui spesso versano, per la loro frequente non facile ubicazione e per la generale dismissione della loro funzione originaria. Se si guarda al paesaggio campano e, più in generale, a quello dell'Italia meridionale non è difficile cogliere che esso è scandito dalla presenza di torri, rocche o castelli di varia mole, posti alla sommità di colline o alture, in pianura o sulla costa, isolati o circondati da fitti abitati, restaurati, in efficienza o, il più delle volte, diruti. Talora solo poche pietre ci rimandano alla esistenza di un antico castello, magari in luoghi impervi, quasi inaccessibili, dove occorre inerpicarsi e farsi strada tra una fitta vegetazione; ma oggi proprio da queste pietre si può cogliere il contenuto di tradizione e di storia in esso racchiuso, il suo significato profondo di testimonianza viva del passato, di custode della memoria dell'origine di paesi e luoghi. In Campania i rapporti instauratisi tra opere fortificate e territorio hanno condizionato fortemente le scelte urbanistiche nel tempo e, frequentemente, la vita dei piccoli centri nella regione risulta intimamente legata al castello. Per questo tipo di costruzioni la storia e il contesto ambientale sono, infatti, parti integranti del loro valore intrinseco; siano esse architetture insigni o di minore rilievo sono lì a testimoniare la continuità storica e culturale di un luogo, cicli e modi di vita del nostro passato. Venuta meno la loro funzione originaria, sia essa esclusivamente militare o amministrativa o prettamente residenziale, queste costruzioni conservano intatto il loro significato più intimo che deriva proprio dagli specifici e forti legami istauratisi nel tempo tra castelli e ambiente, significato che oggi costituisce il punto forte su cui fondare il tema della riqualificazione ambientale. Purtroppo le condizioni di questo significativo patrimonio sono allarmanti: la maggior parte delle costruzioni è abbandonata o manomessa e versa in condizioni di grave degrado ed emarginazione. Ai danni dell'abbandono secolare, che ha spesso condotto le opere fortificate allo stato di rudere (ma che in alcuni casi ha addirittura favorito la conservazione di testimonianze autentiche, non alterate da successive trasformazioni), si sono aggiunti quelli causati da interventi incongrui e distruttivi, di usi anomali, promossi dalla politica edilizia degli ultimi cinquant'anni o conseguenti all'evento tellurico del 1980, che hanno contribuito alla perdita di importanti resti del nostro passato. Nelle logiche speculative, infatti, le architetture difensive, soprattutto se ridotte allo stato di rudere, sono state considerate spesso ingombranti ed "obsolete" per la loro mole, per la loro ubicazione, per la difficoltà nella ricerca di funzioni appropriate. Oggi si riparte dalla riscoperta di un forte interesse culturale verso i valori della storia e della cultura urbana per rilanciare una politica tesa alla conservazione e al recupero del costruito. Nell'ottica della conservazione e della valorizzazione del paesaggio e dell'ambiente storico bisogna riconoscere l'esigenza della manutenzione dei castelli-rudere che nel ricordo della loro possente struttura custodiscono la memoria della potenza delle famiglie feudali, mentre nei resti materiali conservano stratificazioni in grado di far comprendere e ricostruire le varie fasi della loro storia. Ma, ancora, il castello-rudere rappresenta spesso con la sua presenza un elemento insopprimibile dell'identità e del carattere di un luogo, tanto che la sua eventuale perdita susciterebbe in chi vi abita un senso di vuoto, di estraneità, di disagio ... La manutenzione dei ruderi non costituisce, quindi, un'esigenza romantica, anche se non si può pensare di operare con la logica dell'utilitas. Quelle pietre non si presteranno ad ospitare nuove funzioni "compatibili", ma saranno lì per essere contemplate e per poter restituire a chi voglia 'ascoltarle' quel contenuto di tradizione e di storia che ancora custodiscono. A tal fine va considerata come prioritaria anche la tutela degli antichi tracciati stradali che conducevano ai castelli o che si articolavano all'interno delle cinte murarie e che rischiano spesso di essere inghiottiti da una natura selvaggia o cancellati dalla mano ottusa dell'uomo. Il più delle volte, allora, è preferibile parlare di conservazione, poiché questo è il termine che meglio si addice all'esecuzione di opere minimali e reversibili che devono mirare solo a salvaguardare da ulteriore rovina; interventi che si dovranno concretizzare in azioni che mirino ad interpretare in chiave attuale la originaria destinazione d'uso, sì da non spogliare la struttura del suo significato antico, cioè non dovranno svuotare l'opera dei contenuti stratificatisi nel passato, perché su quel passato, su tutto il passato, sul suo complesso, si fonda la continuità storica di un luogo e di un gruppo umano. Tutta la restante e conseguente parte di ogni intervento, ciò premesso, può ispirare tante chiavi di lettura nel visitatore potenziale, come interpretare la forma, le dimensioni, la tessitura dei materiali, non in maniera isolata, ma come in un libro avvincente in cui la trama tiene legate ogni parola, descrizione o azione. Ciò significa non solo porre il fruitore nelle condizioni di relazionarsi con l'opera e con l'ambiente, in modo che siano capiti i valori ai vari livelli di complessità del sistema di cui fanno parte, ma anche far 'vivere' al fruitore il progetto e quanto più questo risulta possibile, tanto più il lavoro potrà intendersi riuscito. L'acquisizione, la riqualificazione e l'utilizzazione di questi beni risultano allora connessi al lavoro incessante di chi studia e sia in grado di interpretare l'organizzazione funzionale, spaziale e tecnologica di entità articolate e stratificate per poter di-svelare alla collettività quei contenuti di storia e cultura che si celano tra i resti materiali. È necessario, quindi, far confluire in questa operazione gli apporti specifici degli studiosi della storia, delle scienze umane, del territorio, dell'archeologia, della conservazione, dell'architettura, ecc., in un lavoro corale e faticoso come quello di chi nei secoli fu in grado di costruire quelle possenti strutture; un lavoro che anche oggi comporta scelte coscienti, scelte che siano fondate su vocazioni specifiche dei beni e dei territori che, nella nostra epoca, siano rispettosamente rigeneranti l'uno dell'altro. Da queste considerazioni è scaturita l'iniziativa della Mostra "Pietre tra le rocce" che, inserita tra i lavori dei Colloqui Internazionali su Castelli e Città Fortificate "Luci tra le rocce" (Salerno, 29-30 aprile 2004), ha visto coinvolti nella sua organizzazione alcuni studenti ed ex studenti del Corso di Recupero e Conservazione degli Edifici del Corso di Laurea in Ingegneria Civile dell'Università di Salerno. La Mostra, in un primo tempo, avrebbe dovuto, infatti, raccogliere e sintetizzare parte del lavoro di analisi e di approfondimento delle conoscenze del nostro patrimonio difensivo ridotto allo stato di rudere, svolto nell'ambito di una ricerca in corso presso il Dipartimento di Ingegneria Civile dell'Università di Salerno. La ricerca aveva preso l'avvio dall'esame di alcuni casi sparsi nella Regione - quasi una storia di frammenti - con la prospettiva di ricomporli in uno studio sistematico. Nel primo stadio di indagine, finalizzato a documentare lo stato in cui versano alcune strutture difensive, gli studenti hanno individuato, esaminato e rilevato alcune di queste antiche fabbriche, per le quali l'idea di fortezza spesso appare ormai astratta. In particolare, il lavoro, poi esposto in mostra, è consistito nell'acquisizione preliminare di studi e rilievi già effettuati e nell'approfondimento sul campo di alcuni aspetti tecnico-costruttivi, attraverso l'osservazione e l'esame di strutture e dettagli. Le tavole della mostra sintetizzano e mettono a confronto alcuni particolari delle orditure delle trame murarie individuate che costituiscono, in realtà, l'unico elemento costruttivo ancora e sicuramente presente in tutte le fabbriche ridotte a rudere. L'intento è quello di continuare ad indagare, scoprire, conoscere la storia e le caratteristiche costruttive e materiali di questi antichi manufatti, ma anche a riflettere sugli effetti delle manomissioni o dell'incuria, per arrivare a realizzare un volume sui 'castelli abbandonati' della Regione Campania e contribuire alla documentazione di quanto ancora resta, nel timore che vada perduto. Il forte richiamo suscitato dal tema proposto ha poi fatto sì che la mostra si sia arricchita di altri importanti contributi che hanno allargato il campo di interesse anche allo studio di altre fortificazioni e altri castelli, ubicati talvolta al di fuori del territorio Campano ed anche del nostro Continente, alcuni dei quali ben conservati, altri restaurati, o trasformati, altri ancora abbandonati o diruti. Contributi di studenti o di insigni studiosi che hanno in comune l'amore e la passione per queste importanti testimonianze materiali della nostra storia ed il desiderio di documentarle e tramandarle. Di illuminare, appunto, le pietre tra le rocce.
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