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Luoghi comuni. Vedutisti stranieri a Roma tra il XVIII e il XIX secolo

Campisano Editore

Roma, 2014; br., pp. 176, 230 ill. b/n e col., cm 21x27.
(Storia dell'Arte).

collana: Storia dell'Arte

ISBN: 88-98229-09-7 - EAN13: 9788898229093

Soggetto: Pittura,Saggi (Arte o Architettura)

Periodo: 1400-1800 (XV-XVIII) Rinascimento,1800-1960 (XIX-XX) Moderno

Luoghi: Europa,Italia

Testo in: testo in  italiano  

Peso: 0.8 kg


Le immagini proposte sono opere selezionate nell'ambito della raccolta grafica del Museo di Roma. Si tratta di acquerelli e incisioni realizzate, tra la metà del Settecento e la metà dell'Ottocento, che riproducono paesaggi e vedute e che nascevano, talvolta, con l'intento di soddisfare la crescente richiesta a seguito del viaggio "di istruzione e di piacere" in Italia - e quindi a Roma -, secondo una consuetudine che si andava consolidando. I pittori erano rapiti dal rapporto tra natura e resti dell'antichità, dai costumi e dalla vita delle persone con le quali entravano in contatto ma ciò che sembrava attrarli sopra ogni cosa era lo studio della luce, la luminosità mediterranea di Roma e della sua campagna. Si tratta di "visioni" della Roma del tempo: luoghi intatti e bellissimi, icone della romanità, negli anni dell'ultima "attrazione fatale" fra Roma e gli artisti. Luoghi comuni, appunto, proprio secondo la teoria che il genio di Roma sta nell'aver inventato un intero sistema di luoghi, frequentati e raffigurati nei secoli in innumerevoli momenti di pittura, senza che la loro suggestione si esaurisse mai. Si incontrano così il Foro Romano e il Colosseo , Villa Borghese e Castel Sant'Angelo, San Pietro e il Pincio, Ponte Milvio e il sepolcro di Cecilia Metella, né mancano le preromantiche visioni della campagna fuori città, immagini di un'epoca nella quale non era semplice spostarsi in luoghi ancora selvaggi e poco ospitali. Dipingere nella natura era la vera novità per questi artisti che, abbandonati atelier e cavalletti, si dedicavano a "dipingere la natura dal vero". Le opere presentate provengono per lo più da due collezioni tra le più significative della storia del Museo: la raccolta di Basile de Lemmerman e quella di Anna Laetitia Pecci Blunt. Entrambi raffinati collezionisti avevano raccolto, con passione e per tutta la vita, opere dedicate a Roma e avevano preso, con grande lungimiranza, la decisione di donarle, o cederle in vendita, a una istituzione pubblica, scongiurandone la dispersione

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