Ritratto in Movimento. Conversazione con Franz Prati
Campisano Editore
A cura di Lucia Re.
Roma, 2023; br., pp. 96, 40 ill. col., cm 14x19.
(Cataloghi Mostre).
collana: Cataloghi Mostre
EAN13: 9791280956446
Soggetto: Pittura e Disegno - Monografie
Periodo: 1960- Contemporaneo
Testo in:
Peso: 0 kg
Comprendo bene che nulla può esistere realmente al di fuori della dimensione ricostruttiva, e neanche mi pare che, al di là della salace suggestione che esercita, l’affermazione di Praz si possa davvero sottoscrivere. Quello che però mi viene suggerito dalle pagine del libro che avete appena letto è che il discorso sulle fonti, tanto più se espresso in forma dialogica, è sempre l’origine di un discorso amoroso tra l’autore e la propria opera. Come tale, contiene i termini se non proprio di un’esclusione, quantomeno di una esclusività, riferendo il racconto a tempi e luoghi che sono in grado di coinvolgerci con l’eterna arma del discorso amoroso: il desiderio.
In altri termini, tramite lo strumento del desiderio l’opera marca in noi la distanza tra quello che sentiamo di mostrare e quello che sentiamo di volere. Il carattere di questa risonanza emotiva – nell’opera di Franz Prati e nel discorso intorno a essa che il dialogo con Lucia Re riesce bene ad attivare – assume la dimensione di atmosfera, termine che introduce una nuova prospettiva affettivofisica nelle nostre possibilità di interazione con l’opera. Atmosfera intesa come metafora, legata com’è alla capacità dell’immaginazione di evocare presenze che trascendono il dominio del sensibile, ma anche atmosfera intesa come messa in scena simbolica, in una dimensione dove emerge la sua natura teatrale, la sua capacità di allestire scenari in risposta al bisogno degli esseri umani di significati. Dobbiamo accettare i simboli – ci avvertiva Cesare Pavese a metà del Novecento – con la pacata convinzione con cui si accettano le cose naturali. La città ci dà simboli come la campagna ci dà frutti. La città, quella che continuamente Prati ricerca, traduce in simboli i prodotti di volontà altrui, li traspone e li impagina in una partitura ogni volta diversa, ogni volta artefice di una forma di risonanza tra i frammenti architettonici ricomposti nell’opera e la sensibilità di chi li percepisce. Bisogna amare tutto con cautela disperata, concludeva Pavese.
Quando l’autore lo fa, lascia a noi la posizione di desiderare i simboli, ma è un rapporto scambievole di desideri.
Anche il Prati autore desidera la città quando la racchiude intera nella forma della colonna, che talvolta si erge, come quella descritta da Chateaubriand in René, sola in mezzo al deserto ed è “simile a un grande pensiero”. Del resto, lo chiarisce Jean-Pierre Richard scrivendo del paesaggio di Chateaubriand, quella colonna per arrivare a noi ha superato distese temporali, di un tempo che sembra essersi sedimentato sopra di essa, ed è questo dell’antichità un tema fantasticamente portato dalla colonna. In fondo – e le parole che in questo libro avvolgono le cose di Franz Prati ce lo dicono – possiamo concludere che il discorso amoroso tra l’autore e la propria opera si pone in uno spazio intermedio tra pratica del mestiere e sublimazione delle idee, dove molto è stato compiuto, ma altro e altro si potrebbe ancora fare, offrendo una chance alla natura poetica della vita, alla sua amabilità.
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