Étienne Decroux. Parole sul mimo
Dino Audino Editore
Roma, 2003; br., pp. 160.
(Manuali di Script).
collana: Manuali di Script
Soggetto: Saggi (Arte o Architettura),Scultura
Periodo: 1800-1960 (XIX-XX) Moderno
Luoghi: Nessun Luogo
Extra: Arte Francese
Testo in:
Peso: 0.8 kg
Già soltanto questi semplici dati devono indurre a grande prudenza nel parlare di Decroux al singolare e, ancora di più, nel pensare al mimo corporeo, o più ampiamente al suo lavoro artistico e pedagogico, come a un qualcosa di racchiudibile in una sola formula, di definibile unitariamente una volta per tutte. Questa prudenza, necessaria del resto verso quasi tutti i maestri del teatro contemporaneo, risulta indispensabile nei confronti dell'autore di Paroles sur le mime e non soltanto per le ragioni cronologiche appena richiamate. Non basta ricordare che Decroux ha attraversato letteralmente un intero secolo di rivoluzioni sceniche, occorre aggiungere subito che - a dispetto di una certa distanza di sicurezza che volle ben presto interporre fra se stesso e il resto del mondo - lo ha fatto da protagonista attivo profondamente coinvolto e soprattutto da ricercatore inesausto, perennemente insoddisfatto dei risultati raggiunti e coraggiosamente proteso al loro continuo superamento.
Parlare di Decroux con i suoi allievi delle diverse epoche, o leggere le loro testimonianze, produce quasi sempre una sensazione a tutta prima scoraggiante: si ha l'impressione di sentir evocare persone molto diverse l'una dall'altra, difficilmente riconducibili ad una stessa indentità anagrafica e artistica. Questo accade - è vero - anche per altre grandi figure di artisti-ricercatori contemporanei: da Stanislavskij a Grotowski. Ma di solito, in casi come quelli appena ricordati, restano almeno gli scritti degli stessi artisti-ricercatori a documentare e certificare i cambiamenti. Nel caso dell'inventore del mimo corporeo abbiamo invece un solo libro, il già citato Paroles sur le mime (qui presentato in una nuova traduzione italiana) e poi la "leggenda", o più modestamente l'aneddotica, di una tradizione orale alimentata appunto da varie generazioni di allievi. In mezzo si stende il terrain vague di una documentazione, sia cartacea che audio e audiovisiva, frammentaria, dispersa e quasi sempre di difficile accesso, la cui circolazione clandestina non ha certo agevolato fin qui il lavoro degli studiosi.
Esistono dunque numerosi Decroux, identificabili con le varie stagioni del suo lunghissimo itinerario teatrale, dall'apprendistato alla scuola di Copeau, nel 1923/24, fino alla morte, nel 1991. Inoltre, accanto a questa pluralità che potremmo chiamare diacronica, sulla quale da qualche anno si è soffermata una più seria attenzione storiografica, esiste, non meno importante, una pluralità sincronica o verticale, che riguarda i differenti livelli o piani sui quali si è mossa, più o meno consapevolmente, la ricerca artistico-pedagogica di Decroux o che comunque risulta possibile e utile individuare adesso, guardando alla sua straordinaria avventura dal punto di vista degli interessi, delle inquietudini e delle domande di chi il teatro lo pratica o lo studia nell'attuale inizio di secolo (e di millennio).
A proposito di questa pluralità sincronica, credo sia possibile individuare almeno tre Decroux diversi, cioè tre livelli o piani differenti (anche se ovviamente legati fra loro) della sua ricerca artistico-pedagogica:
1) innanzitutto esiste il Decroux inventore del mimo corporeo come nuovo genere teatrale (un genere, per giunta, fortemente codificato: caso raro in Occidente, come si sa);
2) poi esiste il Decroux alla ricerca di un'arte teatrale pura, essenziale, certo fondata sull'uso espressivo-estetico del corpo, attitudini-gesti-movimenti, ma senza obblighi stretti di codificazione e senza divisioni rigide fra generi;
3) infine esiste almeno un terzo Decroux, forse il più importante per noi oggi: colui che ha sviluppato nel corso di oltre mezzo secolo una delle indagini più rigorose, approfondite e sistematiche che non soltanto il Novecento ma l'intera tradizione teatrale occidentale abbia mai conosciuto sui fondamenti dell'arte dell'attore: vale a dire sull'azione fisica in scena, sulle sue tecniche e sulla sua drammaturgia.
Su questo terzo piano, lette al di fuori di ogni prospettiva di genere, le domande che il creatore del mimo corporeo si pone nel corso della sua lunghissima carriera di artista e pedagogo sono le stesse che rintracciamo al fondo del lavoro di altri grandi maestri del nuovo teatro novecentesco: che cosa consente all'attore di agire realmente (e cioè efficacemente, credibilmente) in scena? In che modo egli può farsi creatore e drammaturgo con i propri mezzi d'attore? Eccetera eccetera. Ed anche nel caso di Decroux, la ricerca tecnica accanita sull'attore, quasi insensata e comunque eccessiva per i più,1 rivela la sua doppia, opposta potenzialità: via d'accesso obbligata per arrivare al cuore dei problemi dell'arte scenica e, al tempo stesso, via privilegiata che il teatro del Novecento ha seguito per trascendersi, cioè per andare oltre se stesso, oltre lo spettacolo, oltre l'arte, attraverso un'interrogazione radicale sul suo valore e sul suo senso.
Sicuramente il primo movimento (verso l'Arte) è visibile a occhio nudo, nel lavoro di Decroux, più del secondo (oltre l'Arte); nondimeno anche quest'ultimo è presente fortemente pur se nascostamente in lui: e la conferma la troviamo nei percorsi di alcuni allievi che, in questo come in altri casi, hanno soltanto portato in piena luce elementi già presenti nel maestro, magari in forma implicita o soltanto allo stadio embrionale.
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