Tommaso Ottieri. Cosmologie urbane
Manfredi Edizioni
Roma, Galleria Russo, 16 ottobre - 6 novembre 2021.
A cura di Simongini Gabriele.
Testo Italiano e Inglese.
Imola, 2021; cartonato, pp. 104, ill. col., cm 22x22.
EAN13: 9791280049421
Soggetto: Pittura,Pittura e Disegno - Monografie,Saggi (Arte o Architettura)
Periodo: 1960- Contemporaneo
Testo in:
Peso: 0.63 kg
Big Bang, ecco la cosmologia urbana di Tommaso Ottieri con il suo drone dello splendore in volo estatico. Ecco, improvvise e baluginanti nell'oscurità, la scintillazione, la luccicanza (ci perdoni il Kubrick di Shining), la brillanza, l'aura nel senso originario di Benjamin, ovvero "l'apparizione unica di una lontananza, per quanto questa possa essere vicina". È tutto questo, mutatis mutandis, che sfrigola e crepita nella brace del mondo dipinta da Ottieri, artista così profondamente napoletano ma altrettanto intensamente cosmopolita. È un cacciatore di energia e sarebbe riduttivo limitarlo al ruolo di pittore di città, perché il mistero del bagliore che ogni suo quadro reca con sé è anche il fuoco segreto degli uomini che hanno progettato, costruito, abitato e vissuto quelle metropoli e che sono ben presenti pur nell'assenza apparente. In queste opere, in cui non si affaccia mai la luce del sole per ribadire con forza la scelta chiaramente antinaturalistica del nostro artista, senti il respiro delle città e dei loro abitanti, senti quella specie di ronzio crescente fatto di operosità in azione e di spostamenti frenetici che anima le metropoli a partire dall'alba e che non di rado nel corso della giornata diventa frastuono assordante per poi acquietarsi di notte accendendosi di intime ossessioni. Ma si sente anche la profondità del tempo cristallizzato nelle pietre e nel cemento. È, appunto, l'irresistibile richiamo dello shining, di una luccicanza che sembra avere in sé qualcosa di incandescente e forse di soprannaturale, tanto che, non a caso, Ottieri ha confessato di poter intitolare quasi ogni suo quadro "Stabat Mater", "il dramma che succede all'improvviso e il bagliore che lo rischiara" per usare le sue parole. Osando forse troppo e addentrandoci nell'indicibile, di fronte ai suoi quadri urbani non vengono in mente pittori di città (tranne, forse, qualche eco lontana dell'El Greco allucinato che dipinge una Toledo spettrale e baluginante) ma talvolta, per qualche aspetto indecifrabile e con le dovute proporzioni, sublimi veggenti (l'ultimo Tiziano? Caravaggio? Ribera? Rembrandt?) di corpi che bruciano nell'oscurità e diventano protagonisti di eventi irrevocabili. Sì, perché Ottieri non dipinge semplicemente città, ma organismi viventi con una propria particolare magnificenza che si accendono improvvisamente in bagliori abitualmente custoditi nello splendore dell'oro, nello scintillio dei diamanti, nel brillio multicolore delle gemme, come accade ad esempio nel recentissimo quadro dedicato alla Galleria degli Specchi della Reggia di Versailles. Del resto, confessa l'artista, "mi interessa testimoniare, riportare l'effetto stupefacente (proprio come un doping) di certe atmosfere architettoniche. Cerco di far sembrare maestoso quello che dipingo, enorme ed avvolgente. Chiedo agli edifici di posare per me, contorcersi per mostrarsi come voglio, assumere posizioni utili allo scopo della scena finale".