«Notae lapicidinarum» dalle cave di Carrara. Con CD
A cura di E. Paribeni e Segenni S.
Pisa, 2016; br., pp. 552, ill., cm 21,5x30.
ISBN: 88-6741-528-X
- EAN13: 9788867415281
Soggetto: Saggi e Studi sull'antichità
Periodo: 0-1000 (0-XI) Antico
Luoghi: Toscana
Testo in:
Peso: 2.65 kg
Dalle cave apuane intorno a Carrara provengono le molte varietà del marmo lunense, il più famoso dell'Italia romana, grazie al quale Augusto poteva affermare di aver trasformato Roma da una città di mattoni in una città di marmo. Tra le testimonianze più significative di quest'intensa attività estrattiva, che si protrasse fino alla fine del mondo antico per poi riprendere solo nel XII secolo, sono le numerose notae lapicidinarum, enigmatiche iscrizioni e sigle apparentemente indecifrabili incise dagli scalpellini antichi sulle pareti delle cave, sui grandi blocchi grezzi estratti e su numerosi manufatti semilavorati (soprattutto basi di colonne e capitelli), che spesso riemergono tra i detriti di antiche lavorazioni. Molti di questi manufatti sono ancora visibili nella zona di origine, sia nell'area stessa delle cave, sia nel Museo del Marmo a Carrara, ma molti sono stati riconosciuti anche a Roma e in molte altre località dell'impero, soprattutto nel bacino del Mediterraneo occidentale. Fu la scoperta di un grande deposito di marmi a Roma, avvenuta tra il 1868 e il 1870 nell'Emporio sul Tevere, ad attrarre su queste difficilissime iscrizioni l'attenzione degli studiosi. Nel 1870 e nel 1884 apparvero due studi, ancor oggi fondamentali, di Luigi Bruzza. che per la prima volta tentò di interpretare questi testi secondo uno schema unitario e coerente.