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Marco Palmezzano. Il Rinascimento nelle Romagne

Silvana Editoriale

Forlì, Musei San Domenico, 4 dicembre 2005 - 14 maggio 2006.
Cinisello Balsamo, 2005; br., pp. 452, ill. b/n, 58 tavv. col., cm 23x28.

ISBN: 88-8215-803-9 - EAN13: 9788882158033

Soggetto: Pittura e Disegno - Monografie,Saggi (Arte o Architettura)

Periodo: 1400-1800 (XV-XVIII) Rinascimento

Luoghi: Emilia Romagna

Testo in: testo in  italiano  

Peso: 2.3 kg


A quasi settant'anni dalla mostra dedicata a Melozzo e al Quattrocento romagnolo (1938), e a quasi cinquanta da quella monografica su Palmezzano (1957), si preannuncia come un importante evento la mostra dedicata al pittore forlivese Marco Palmezzano (Forlì, 1459/63 - 1539), allestita nella città natale il prossimo inverno, di cui questo volume è il catalogo.
Dieci anni di studi e restauri hanno consentito di riunire dai musei di Baltimora, Vienna, Dublino, Berlino, Musei Vaticani, Uffizi e Brera le opere più significative di Palmezzano, un artista che ha saputo coniugare con eleganza il meglio dell'arte romana, veneta e fiorentina del suo tempo, incantando con una pittura compatta e lucente, e con la famosa "purezza d'alabastro" delle sue figure.
L'iniziativa documenta la lunga e prolifica attività del pittore, affermatosi in Romagna, dalla fine del Quattrocento, come abile interprete della più matura pittura prospettica, al fianco del maestro Melozzo. Dopo una breve esperienza a Venezia, maestro Marco ritornò a Forlì, divenendo l'artista di riferimento, durante tutto il trentennio successivo, per l'aristocrazia locale gravitante intorno a Caterina Sforza, signora della città. In catalogo anche le opere più significative dei suoi maestri, dei suoi affini e dei suoi compagni di strada, fra cui figurano Melozzo da Forlì, Giovanni Bellini, Cima da Conegliano, Antoniazzo Romano, Marco Zoppo, Baldassarre Carrari e il Maestro dei Baldraccani.

La biografia di Marco Palmezzano fu scandita dai tempi di un'attività artistica straordinariamente longeva (già attivo nel 1484 morirà in patria nel 1539); un'attività che doveva imporlo in Romagna, a partire dalla fine del Quattrocento, come protagonista indiscusso della più matura pittura prospettica. Specie agli inizi, nelle sue pale spaziose, dove la luce conferisce alle forme una nitidezza d'alabastro, amò firmarsi "Marcus de Melotiis", cioè Marco di Melozzo, dichiarando così scopertamente i suoi debiti nei confronti del concittadino illustre che gli era stato maestro. Il rapporto con Melozzo comportò un viaggio a Roma, nei primi anni novanta del Quattrocento, quando Antoniazzo Romano vi produceva alcuni dei suoi capolavori e i cantieri papali cominciavano a rivestirsi delle decorazioni preziose, moderatamente archeologiche, dei pittori umbri.
Fra il 1493 e il 1494, in ogni caso, Palmezzano è a Forlì, sempre al fianco di Melozzo, definitivamente tornato in patria nell'ultimo anno di vita (morirà nel 1494). La Cappella Feo in San Biagio, una delle grandi perdite del patrimonio artistico causate dalla seconda guerra mondiale, recava traccia della collaborazione fra i due. E se nell'invenzione della cupola, trasformata con la pittura in spazio abitabile e all'antica, era certo ancora Melozzo a coniugare la certezza prospettica di Piero della Francesca con l'illusione di Mantegna, negli apostoli pensosi si rintracciavano già inconfondibili le sigle dell'allievo.
A quella misura prospettica Palmezzano rimarrà fedele per tutta la vita, anche quando, subito dopo la morte di Melozzo, prenderà la strada di Venezia. Un documento del 1495 ci rivela infatti che aveva aperto bottega a Venezia.
Ma si trattò di un'esperienza di breve durata. Di lì in poi maestro Marco avrebbe infatti condotto la propria esistenza in patria, divenendo l'artista di riferimento per la piccola aristocrazia locale gravitante intorno a Caterina Sforza, signora di Forlì. Dell'esperienza veneziana resta però traccia indelebile nella sua pittura, nel gusto per i paesaggi umanizzati e riconoscibili, nella tersità luminosa delle sue pale.
L'ultimo trentennio di attività dell'artista è la storia del successo di Palmezzano in Romagna, dell'affermazione incontrastata del suo modello di pala prospettica, della sua pittura compatta e lucente. Al di là delle gelose autonomie cittadine, il pittore seppe imporsi oltre che a Forlì, anche a Faenza e nelle valli che di lì conducono a Firenze, a Cesena, a Ravenna, dominio dei pittori filo veneziani. Si tratta di un successo che solo l'avvento della maniera raffaellesca, negli anni venti del Cinquecento saprà davvero oscurare.

Oltre alle opere più significative del pittore, e ad alcuni prestiti importanti ottenuti da musei italiani, europei e americani, la mostra presenterà anche dipinti di Melozzo, di Giovanni Bellini e dei maggiori comprimari locali, fornendo così uno spaccato completo della pittura romagnola fra Quattro e Cinquecento e dei suoi modelli di riferimento, documentando rapporti di emulazione, dialoghi artistici, risposte figurative diverse e caratterizzate.
A quasi settant'anni dalla mostra dedicata a Melozzo e al Quattrocento romagnolo (1938), e a quasi cinquanta da quella monografica su Palmezzano del 1957, è questa la prima occasione in cui un capitolo importante della pittura italiana del Rinascimento viene presentato con il rilievo dovuto, dopo decenni di studi e di acquisizioni critiche. Ma è anche l'occasione per farsi incantare da un'arte che, fra Quattro e Cinquecento, faceva ancora proprio l'antico motto di Piero della Francesca, che cioè nulla è nella pittura senza prospettiva.

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design e realizzazione: Vincent Wolterbeek / analisi e programmazione: Rocco Barisci