Ben Ormenese. Mostra Antologica
Verso l'Arte Edizioni
Solighetto, Centro di Cultura "F. Fabbri", 18 dicembre 2004 - 16 gennaio 2005.
Cerrina, 2004; br., pp. 111, ill. b/n, 70 tavv. col., cm 21x29.
Soggetto: Pittura e Disegno - Monografie
Periodo: 1960- Contemporaneo
Luoghi: Nessun Luogo
Testo in:
Peso: 0.54 kg
Benito Ormenese nasce a Prata di Pordenone nel 1930. Nei primi anni Sessanta decide di abbandonare la facoltà di architettura per dedicarsi interamente alla pittura, trasferendosi a Milano. Sono questi anni di un'evoluzione precoce, che lo porta ad indagare le potenzialità del colore attraverso la determinante influenza dell'ìnformale più iconodasta. Ma la vocazione dell'artista friulano è legata alla costruzione e, dunque, già dal 1964 inizia le ricerche sul materiale cui dedicherà gran parte della sua arte e cioè il legno. Abbandonato il tradizionale pennello inizia le sue ricerche strutturali, considerando il quadro come un elemento che si fa nello spazio, quasi mosso da motivazioni dinamiche interne. E' nel 1964 la mostra alla galleria San Luca di Verona e nel 1966 alla Vinciana di Milano. Nella sua netta direzione oggettuale Ormenese sarà sempre attento alle condizioni percettive delle opere, allo scarto che si verifica tra la superficialità illusoria degli incastri delle forme e la presa di coscienza della plasticità tangibile di quelle stesse forme: le sue aggregazioni non solo si collocano sulla superficie e nello spazio, ma creano superficie e spazio. E' in tale ambito di ricerca che dai primi anni Sessanta (1964) aveva iniziato il ciclo delle "strutture lamellari", in cui emerge l'interesse per la mutevolezza percettiva a seconda della luce e della posizione variabile dell'osservatore. Questa fondamentale fase "ottica", si occupa della luce, del colore e del movimento percettivo, ma anche, persistentemente, di quelle zone di ambiguità in cui è difficile distinguere tra ciò che è presente e ciò che è assente, ma che continua ad apparire. Contestualmente Ormenese continua le sperimentazione sul legno, che modella, vernicia, brucia persino, per costringerlo alla propria creatività, ben sapendo, come insegnava l'Alighieri, che la forma s'accorderà "a 1'intenzion de l'arte" solo se l'artista avrà conosciuto quanto la materia è "sorda". E' con questi cicli di opere che approda a11a galleria Vismara nel 1968 e alla Falchi nel 1970, dopo la presenza ad una collettiva alla Blu, sempre a Milano. Ma è l'incontro con (illuminante personalità del gallerista milanese Silvano Falchi, il momento determinante di questi anni, per dare fiducia ad una ricerca forse troppo rigorosa e solitaria. Nell'arco di pochi anni vengono organizzate mostre in Italia e all'estero, dalla galleria Ravagnan di Venezia, alla Teufel di KSln alla Royal Academy di Londra nel 1978. Un critico importante come Luciano Caramel s'interessa al suo lavoro, ma lo schivo Ormenese, improvvisamente, dopo una grave crisi che lo porta a distruggere gran parte del suo lavoro in un notturno e silenzioso falò, preferisce ritirarsi nella sua Sacile, dove continuerà la sua ricerca in solitudine.
Siamo nel 1978. Per vent'anni, fino al 1998, lavorerà instancabilmente, affrontando con la sua assoluta padronanza artigiana, la scultura lignea, procedendo sempre per aggregazione strutturale, in un tentativo folle e sublime insieme di cogliere la consustanzialità, contraddittoria ma certa, di presenza e assenza. Nel 1998 la giovane galleria PoliArt di Bologna organizza, con lo stupore di chi ritrova un tesoro dimenticato, un'antologica del maestro. Dello stesso anno è il catalogo e la personale alla Galleria Paolo Nanni, sempre a Bologna. Già da qualche anno Ormenese ha cominciato un nuovo ciclo di opere a "strutture lamellari", che può definirsi riassuntivo ed esemplificativo dì una ricerca che dura da quarant'anni. Del 2000 è la mostra allo Studio GR di Sacile e l'incontro con il critico d'arte Giovanni Granzotto, con il quale Ormenese sa che, solo ora, può ricominciare da dove con Falchi sì era salutato.