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Damm a Trà. Poesie in milanese con traduzione a fronte

De Ferrari Editore

Genova, 2005; paperback, pp. 224, cm 12x21.
(Poesia).

series: Poesia

ISBN: 88-7172-721-5 - EAN13: 9788871727219

Languages:  italian text  

Weight: 0.39 kg


Prosegue l'affascinante percorso letterario di un poeta che ama Milano come pochi altri. Questa volta oltre alla testimonianza la più sentita nei confronti della città delle guglie, il "portaromanino" ha deciso di entrare nelle profondità del proprio essere, regalandoci una sorta di Dialettologia Sacra dell'animo umano e dei suoi sentimenti.
"Damm a trà", poesii in milanes, si configura più come una SUMMA che una raccolta. Summa per il fatto che sembra sedimentare strato su strato della ricerca poetica del Nostro, arrivando a strutturare la realtà "cantabile" in cinque settori, corrispondenti appunto al titolo di ogni parte del libro.
Nella prima è Milano la protagonista, una Milano vista dall'alto, forse perché dopo tante riflessioni Carlo ha capito che lo sguardo "dal basso" è degno soltanto di chi usa la città, finendo per non capirla e non amarla. "Dove ogni uccello osa andare" tetti e campanili diventano persone, cariche di affetti e buona volontà. Persino la metropolitana, nel linguaggio dei volatili, si trasforma in uno scrigno di tenerezza, in cui il vecchio stringe le sue povere cose, gli storpi e i malati che chiedono pietà denunciano implicitamente la cattiva volontà degli indaffarati "rasoterrestri". E i ricordi del passato, personale e collettivo, riaffiorano nel volo, tra sere d'estate caratterizzate dall'abbraccio Collettivo a vecchi libri di poeti dimenticati: la vecchia Milano, quella dell'Alemagna per intenderci, non c'è più, sepolta dagli infami prodotti della globalizzazione, e il poeta, con un tocco di compita amarezza, crea un gioco di specchi, capace di far resuscitare le cose migliori. Ma a un certo punto sembra non farcela più a trattenere lo sdegno e immedesimandosi nel cuore calpestato dell'urbe Lombarda, quello del Porta e del Manzoni, imbastisce un Cahier de Doleances degno della più alta tradizione letteraria meneghina. Albertario in questo senso è gran poeta di satira sociale.
Altre volte è un registro pittorico che prevale, come in "Cà vècc e cà noeuv" e "Pòrta Romana in del coeur". La lirica "Volà sora Milan" riassume l'intero comparto dedicato alla città natia, regalandoci un approccio felicemente cinematografico.
La seconda parte imbastisce una sorta di sofferto dialogo col tempo cronologico, feroce e spietato padrone dell'esistenza. L'orologio, per un meneghino, fa intendere il poeta, rappresenta croce e delizia, se ne diventa in qualche modo schiavi subendone con una sorta di voluptas dolendi le norme e i rumori. Così lo specchio di casa diventa il boia mandato da Cronos, ma "I dì de la vita" insegnano che bisogna saper cogliere il meglio anche nell'affanno. E l'Albertario più convincente è ancora una volta quello amletico, che in "Me ven on dubbi" si chiede, con dolce e infantile tremore, se ha sbagliato tutto a essere onesto, ora che la gioventù è passata.
La terza parte affronta con le armi della lingua più sorniona del mondo la tematica più elettrizzante, l'amore. La scommessa viene vinta: la sensibilità albertariana riesce a trattare i sentimenti più intimi con la vena di una sensibilità sommessamente metafisica, che riscatta perfino il perfido abbraccio tra Eros e Tanatos, come accade nel piccolo capolavoro "D'amor", dedicato a una coppia di anziani che ha deciso di farla finita. La stessa figura della madre, così ingombrante in tanti poeti, qui si traduce in commovente oggetto di preghiera.
Quarta e quinta parte di "Damm a trà" si volgono alle realtà dell'amicizia e della spiritualità profonda. In molte poesie vince la testimonianza esclusiva dello "stare insieme" (uso una frase ad antitesi perché lo spirito del lavoro non è mai scevro da una ironica coscienza delle contraddizioni umane), sullo sfondo di un Flatus religioso che rigetta qualsiasi ipocrita ritualità formale. "Magara pòdi fà on quaicòss per tì./ Streng on moment la toa man in de la mia/ o fà numm duu 'n tocchèl de strada insèma" : qui c'è il volto più autentico del nostro poeta, sempre attento alle sollecitudini del cuore.
E "Ciar", rappresenta una sorta di implicita confessione su quel magnifico sogno che è stato per lui il far poesia.
Il meneghino che Carlo impiega nel suo lirico operare appartiene ad una tradizione di stampo classico, che si adegua però alla complessità comunicativa dell'età contemporanea. Il risultato è uno stile semplice ma dotato di un notevole spessore semantico, con la prevalenza di un timbro colloquiale che permette un contatto diretto tra lettore e autore. Solo così si può secondo me salvare una lingua altrimenti destinata all'oblio.

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