Chi ha bruciato la Cavallerizza? Storia Reale di un'occupazione
Mincione Edizioni
Roma, 2024; paperback, pp. 355, ill., cm 18x16.
(Narrativa).
series: Narrativa
ISBN: 2-931144-43-6
- EAN13: 9782931144435
Period: 1800-1960 (XIX-XX) Modern Period,1960- Contemporary Period
Languages:
Weight: 0.4 kg
Io sono nato in una casa bianca al Sud di Bruxelles. A casa mia, era tutto bianco. Le pareti, le parole, i piatti. I miei genitori. Un museo alla gloria di me stesso. Nel living-room un quadro con dentro un disegno che avevo fatto da bambino. Sul disegno c'erano dei vigili del fuoco. Perché il fuoco bruciava una casa bianca. Sulla maniglia di un mobile in cucina era sospesa una collana colorata. Quella che avevo fatto a malincuore per la festa della mamma. Quella con pasta alimentare dorata. Solo che avevo messo le farfalle a forma di crocefisso. A mia madre non era piaciuto perché a casa mia, non si pregava. Si mangiava. Accanto allo schermo LCD: la foto della mia squadra di calcio. Avevo una maglietta diversa dagli altri. Facevo il guardiano. Davanti alla rete, ero uno scolapasta. Non avevo scelto, gli altri mi hanno messo in quel posto, perché loro volevano diventare Cristiano Ronaldo. Nello spogliatoio, avevo capito che non sarei diventato Cristiano Ronaldo. Un compagno di squadra mi aveva chiesto di gonfiare il mio corpo. Quando mi sono accorto di non avere i muscoli di Cristiano, mi ha tirato giù i pantaloni. Stavo lì da solo a palpeggiarmi la pelle. Mi guardavo allo specchio. Con il mio pisellino, un ciuffo e un neo. Cercavo di rimboccarmi la pelle per cambiarla. Scavavo l'orlo nell'orecchio, fra le chiappe. Mi toglievo le bucce, le unghie, le dita dei piedi. Niente. Non trovavo l'orlo di me stesso. Quando il coach mi ha trovato, ha chiamato i miei. Forse perché ero pieno di sangue. Sulla strada verso l'ospedale, mi sono accorto che non si scappava alla propria pelle. Guardavo la città, la fronte scivolava sul finestrino, e capivo che avevo un involucro scomodo. L'infermiere ha affermato che non c'era nessun male a non diventare Cristiano Ronaldo. "Devi buttare questa idea nel cestino". Mentre rifaceva i punti di sutura sulle mie tempie, ho visto cosa ci fosse dentro il mio cranio. Non era un cestino. Era una pattumiera! La pattumiera dei miei desideri! Con dentro tutte le cose che non avevo fatto, detto, sentito. Ci si aggiungeva la pelle di Cristiano Ronaldo. Un involucro di delusione che giaceva accanto a due goal che non avevo parato, un compito non riuscito e l'infermiere che ripeteva "devi buttare questa idea nel cestino". Per consolarmi mio padre ha detto: "Non c'è solo Cristiano Ronaldo, puoi diventare tanti altri mestieri, noi ti sosteniamo qualunque cosa tu scelga". Brontolavo. Con la metà delle labbra che mi rimaneva ho detto: "Hooligan". Mio padre ha fatto una smorfia. Per farmi imparare la lezione, mio padre mi ha forzato a guardare una partita della Champion's. Juventus VS non mi ricordo cosa. Aveva messo una foto mia con i miei compagni di calcio accanto alla TV. Quando il portiere Buffon toccava il pallone, mio padre mostrava lo schermo LCD poi metteva la sua mano sul mio ginocchio e diceva: "Questa è la televisione. Questo sei tu. Questa è la televisione. Questo sei tu". Solo che il mio sguardo si girava verso il vuoto della mia casa bianca. Le pareti erano bianche quanto i denti dei miei che mi sorridevano. Mi riflettevano. Era tutto troppo gentile per non essere sospetto. Ogni oggetto mi rispecchiava. La vernice del tavolo, i fornelli a induzione, il frigorifero Whirpoule. Volevo scappare da me stesso ma non sapevo dove andare. Il mio orizzonte era quello del Sud di Bruxelles, mi riconoscevo dentro ogni finestra, ogni vetro, ogni faccia per strada.