La spiritualità dei nostri avi nelle orazioni popolari dialettali
Gelsorosso
Bari, 2022; paperback, pp. 410, b/w ill., cm 17x24.
EAN13: 9791280436276
Subject: Societies and Customs
Places: Italy
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Una volta pregare era come respirare. Sin dalla nascita la vita del paese era conformata a quella dei monaci. La giornata era regolata dal suono delle campane, le stagioni erano scandite da preghiere connesse al calendario liturgico al quale erano legate le previsioni del tempo, del raccolto e gli stessi lavori agricoli. Le donne, nei pomeriggi estivi, ritrovandosi nei claustri per cucire e ricamare, alleviavano il loro lavoro con la recita del rosario. Anche per loro il motto era "ora et labora". Proprio perché il sentimento religioso era come il respiro, di religiosità e conoscenza biblica erano impregnati anche molti proverbi e modi di dire riguardanti la vita, la morte, la sorte, gli angeli, i diavoli, le virtù e i vizi. Raccogliendole negli anni dalla viva voce degli anziani, Carmela Dacchille ha recuperato le "orazioni" (razzièun? in dialetto), il tipo di preghiera orale, privata e formulata del cosiddetto esercizio del cristiano raccomandato già da Ippolito di Roma (intorno al 215). Per secoli questa pratica si è tramandata di padre in figlio attraverso l'oralità come decisivo strumento di trasmissione e di diffusione in comunità caratterizzate da un forte legame sociale. Sicché, per quanto private, in tale condivisione, esse si caricano di un valore comunitario, com'è di tutte le espressioni culturali e religiose tipiche delle società tradizionali. Tramandandosi di generazione in generazione, inevitabilmente esse si sono cristallizzate in formule codificate, andando a costituire un ideale breviario del buon cristiano, un repertorio di testi ritualmente ripetuti dal popolo orante. Di questo prezioso patrimonio immateriale della società contadina Dino Tarantino ne analizza i testi e la mentalità che li sottende, considerandoli - sulla scorta di Marc Bloch - «testimonianze involontarie» di un vissuto letto «spazzolando la storia contropelo» (Walter Benjamin).