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Agostino Beltrano. Uno Stanzionesco falconiano

Edizioni Napoli Arte

Napoli, 2010; paperback, pp. 72, 65 b/w and col. ill., cm 21x29,5.

Subject: Monographs (Painting and Drawing)

Period: 1400-1800 (XV-XVIII) Renaissance

Languages:  italian text  

Weight: 0.36 kg


Una monografia, scritta da Achille della Ragione, ci permette di apprezzare la figura di Agostino Beltrano, rimasta a lungo nel limbo degli stanzioneschi ed a margine delle indagini sullo Stanzione per la scarsa reputazione verso la sua opera che hanno dimostrato nella seconda metà del secolo scorso i più insigni napoletanisti. Infatti, dopo le interessanti aperture dell'Ortolani, il quale, nel catalogo della celebre mostra tenutasi nel 1938 a Castel Nuovo su Tre secoli di pittura napoletana, comincia una seria ricostruzione della sua attività, partendo dalle quattro tele conservate nel Duomo di Pozzuoli ed esponendo nella rassegna il Miracolo di S. Alessandro, i numi tutelari del Seicento partenopeo, Bologna e Causa, gli dedicano soltanto qualche fugace accenno nei loro scritti fondamentali.
In tempi più recenti Spinosa, monarca assoluto degli studi e delle numerose esposizioni che si sono tenute a Napoli negli ultimi decenni, persevera in questo disinteresse ed a tutto oggi nessuna opera del Beltrano è visibile né a Capodimonte, né a San Martino e l'unica eccezione è stata la presenza dell'artista a Civiltà del Seicento con quattro tele, discusse nel catalogo con competenza dalla Ambrosio, una studiosa che, assieme alla Novelli Radice, autrice di due fondamentali articoli e del Volpe, intervenuto anche lui due volte sul pittore, in seguito ha continuato ad indagare ed a pubblicare schede e contributi sul pittore, divenendo l'esperta di riferimento.
Agostino è noto al pubblico degli appassionati soprattutto per la favola dell'uxoricidio e della fuga in Francia, avallata dal De Dominici e smentita dopo secoli dalle diligenti indagini archivistiche del Prota Giurleo.
L'artista attendeva da tempo il risarcimento di una monografia per poter essere giudicato per il suo lavoro, che ne fa un onesto comprimario in un periodo pieno di nomi prestigiosi e passato alla storia come il secolo d'oro della pittura napoletana.
La conoscenza sul Beltrano è aumentata in questi ultimi anni, grazie ai quadri firmati o siglati transitati sul mercato, anche se sono venuti alla luce pochi documenti nuovi e sarebbe finalmente il momento che qualche studioso spulciasse i registri dei morti delle parrocchie napoletane alla ricerca della vera data della sua morte, che la critica ancora colloca all'anno della peste e che va sicuramente spostata in avanti, forse fino al 1665, indicato dallo spesso veritiero De Dominici. Infatti tra i meriti della monografia vi è quello di aver spostato la data di morte del pittore, generalmente collocata al 1656, ad un periodo certamente successivo al 1662.
Il volume, ricco di 80 foto e di 70 tavole a colori, contiene tutte le polizze di pagamento, tra cui alcune mai pubblicate ed i documenti anagrafici del pittore e dei suoi familiari, una corposa bibliografia di oltre cento titoli e ci presenta per la prima volta tre sue immagini, per cui finalmente possiamo conoscerne il volto.
Sono accuratamente descritti i cicli decorativi ad affresco, le grandi pale d'altare, i dipinti da cavalletto, mentre un capitolo è dedicato alle attribuzioni da respingere ed ai dipinti border line.
Vengono illustrati nel libro una serie di caratteri patognomonici dello stile del Beltrano, una bussola necessaria per poterlo riconoscere con facilità, dopo anni che le sue opere sono transitate sul mercato sotto le più varie attribuzioni da Gargiulo ai tanti stanzioneschi, difficili da identificare a volte anche per un occhio esperto.
Beltrano ci è così noto come battaglista e paesaggista, specialista in scene di martirio ed episodi biblici, abile in egual misura nell'affresco come nel cavalletto.
Le sue grandi tele del Duomo di Pozzuoli firmate, datate e documentate giacciono tristemente nei depositi da decenni, circostanza sfavorevole per una maggiore conoscenza da parte del pubblico e degli studiosi. Se fossero visibili a Capodimonte, questo valido artista, in bilico tra inclinazioni stanzionesche ed osservanza falconiana, sarebbe apprezzato come uno dei comprimari di lusso del secolo d'oro della pittura napoletana ed andrebbe definitivamente in soffitta lo sprezzante giudizio dell'Ortolani, il quale, nelle pagine del catalogo della memorabile mostra del 1938, lo definì "mediocre combinatore di stanzionismo a forme lanfranchiane.

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design e realizzazione: Vincent Wolterbeek / analisi e programmazione: Rocco Barisci