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La natura morta napoletana dei Recco e dei Ruoppolo

Edizioni Napoli Arte

Napoli, 2009; paperback, pp. 64, 127 col. ill., cm 21x30.

Subject: Painting

Period: 1400-1800 (XV-XVIII) Renaissance

Places: Naples

Languages:  italian text  

Weight: 0.32 kg


Molte incertezze regnano ancora sulla Natura morta napoletana e molti sono i dubbi attributivi e le questioni che attendono una più puntuale precisazione documentaria, tanto da far auspicare, anche se da prendere come una provocazione, "un'azzeramento quasi totale delle conclusioni critiche e storiografiche passate ed una nuova ripresa degli studi sull'argomento con occhi nuovi e con mente sgombra da ipotesi precostituite e da pregiudizi di parte" (Spinosa).
Per far progredire gli studi sarebbe quanto mai opportuno organizzare un grande mostra sull'argomento, ponendo gli uni vicino agli altri i soli dipinti firmati o documentati, per poter operare gli opportuni confronti; un'impresa non facile per la dispersione di tali tele in raccolte private, difficili da identificare e spesso situate all'estero, ma nonostante le incertezze attributive ed il ritardo degli studi, la natura morta napoletana, risorta dopo un oblìo di secoli, rappresenta oggi una realtà estetica indiscutibile, come dimostrato nelle grandi aste internazionali e costituisce uno dei patrimoni più cospicui che il genere abbia prodotto in Europa nel corso del Seicento, indefettibile testimonianza di un primato nelle arti figurative che la città ed i suoi abitanti, smarriti nelle tristi tribolazioni della dura realtà odierna, faticano e quasi dubitano di avere per così lungo tempo esercitato.
L'avvio, nei primi decenni del secolo, risente del fecondante messaggio che i fiamminghi irradiano in tutta Europa, sedimentato dall'esperienza caravaggesca, che perviene da Roma, divenuta di nuovo centro propulsore del nuovo verbo. Anche dalla Spagna giungono gli echi del successo che il genere sta riscuotendo, ma gli scambi non saranno a senso unico, come lentamente gli studi stanno dimostrando. A Napoli si costituiranno vere e proprie consorterie con dinastie di specialisti legati da vincoli di sangue come i Recco e i Ruoppolo, che monopolizzeranno per decenni il mercato, divenuto cospicuo per le richieste crescenti da parte di una borghesia laica, che considera la natura morta uno status symbol da esibire e di cui compiacersi, né più né meno di come era accaduto nel nord Europa alla nascita del genere.
I Recco sono cinque: Giacomo, Giovan Battista, Giuseppe, il più celebre ed i suoi figli Elena e Nicola Maria, mentre i Ruoppolo sono Giovan Battista ed il nipote Giuseppe.
Il volume di Achille della Ragione su queste due gloriose famiglie dei Recco e dei Ruoppolo documenta minuziosamente il percorso di questi artisti con l' ausilio di un formidabile corredo iconografico di oltre centocinquanta foto, tutte a colori, di dipinti molti dei quali inediti.
La figura di Giacomo, il pittore più antico, secondo alcuni studi recenti, perde sempre più spessore divenendo poco più che un indefinibile ectoplasma, e forse dobbiamo constatare che aveva ragione il De Dominici, quando affermava che la specialità a Napoli raggiunse gloria e considerazione solo con la generazione successiva, contrassegnata dalla folgorante apparizione sulla scena di Paolo Porpora, mentre Giovan Battista si presenta come una personalità artistica di grande prestigio, solo da pochi anni restituita alla storia dell'arte, alla quale era completamente ignoto, egli è particolarmente attivo alla metà del secolo, in un momento veramente felice per il genere a Napoli ed è famoso per i suoi bodegones, un angolo della cucina ove sono collocati i cibi in maniera inusuale, per cui nel panorama della natura morta napoletana all'improvviso alla "tuberosa che squarcia le tenebre col suo candore o alla rosa delicatamente accartocciata nell'ombra" si sostituiscono "la cipolla, il tacchino spennato, la lombata di vitello ancora sanguinolenta ... le grandi tavole di pescherie, ricche d'ogni più rara preda di mare, che possa fare il vanto delle mense più raffinate" (Causa). E dopo la metà del secolo compare prepotentemente alla ribalta Giuseppe la personalità più importante nel panorama della natura morta napoletana, il quale spazia con abilità e padronanza tutti i soggetti, dai fiori ai pesci, dagli interni di cucina alla frutta senza contare un lungo periodo della sua attività in cui ritrae senza problemi squisiti dolciumi e preziosi broccati, vetri e tappeti, strumenti musicali e vasi antichi, maioliche e preziosi ricami, con una tale abilità da provocare, secondo lo spiritoso racconto del De Dominici un aborto per la "voglia" ad una donna gravida incantata alla vista dei suoi dolciumi su una tela, riprodotti con tale perfezione da parer veri; né più né meno che un moderno caso di "ekphrasis", cioè di frutta dipinta così bene, che gli uccelli si mettono a svolazzare sul quadro tentando di beccarla.
Giovan Battista Ruoppolo è assieme al coetaneo Giuseppe Recco una delle figure chiave della natura morta napoletana della seconda metà del Seicento con doti di colorista spinte fino al lirismo più acceso, egli sa infondere alle sue creazioni una luce con accenti di tale energia da trasfondere nelle sue vegetazioni uno splendido canto e ad imporre alle sue cascate di frutta un ritmo ed un fremito di vita.
Il nipote Giuseppe si distinse per una certa tinta alquanto più rossastra nelle frondi delle viti e nei campi, fece assai bene frutti secchi, aranci, limoni e dipinse pentole di rame, verdura e canestrini di insalate". La sua più alta qualità è nella esasperante ricerca luministica, in una analisi di superficie ripetitiva e puntigliosa, che decanta in una materia vivida e grumosa la buccia degli agrumi e si condensa in grevi brillî sulla costolatura delle foglie.
Il volume si dilunga anche nella descrizione di altri pittori minori, attivi sulla scia di queste due grandi dinastie di specialisti, che sono il fulcro ed il vanto della natura morta napoletana seicentesca.

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