Fonetica storica di un dialetto romagnolo, proposte di grafia
Società Editrice Il Ponte Vecchio
Cesena, 2024; bound, pp. 184.
EAN13: 9791259783059
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In questo libro, Enrico Berti indaga l'evoluzione fonetica del dialetto della Romagna nord-occidentale. Sono perciò escluse sia la Romagna del sud-est (cioè i territori che vanno da Cesena ai confini con le Marche), sia la Romagna montanara, poiché entrambe queste aree presentano soluzioni evolutive diverse da quelle del dialetto dell'autore. Il saggio si fonda sulla convinzione che in quella parte della nostra regione che viene detta "Bassa Romagna" o "Romagna estense" (grosso modo il circondario di Lugo) e che di lì si irradia verso Ravenna, Forlì, Faenza, Imola, pur con le innumerevoli differenze lessicali e fonetiche, da paese a paese, ci sia, almeno dal punto di vista evolutivo, una certa concordanza che la distingue dalla Romagna del sud-est (Cesenate, Riminese, San Marino) e dai dialetti della montagna. Con questo lavoro si vuol dimostrare che il dialetto romagnolo preso in esame, anche dal punto di vista dell'evoluzione fonetica (oltreché grammaticale, vedi la grammatica di Ferdinando Pelliciardi e quella più recente di Franco Ponseggi), rappresenta una "lingua organica", che segue un percorso evolutivo rigoroso. È una lingua vera, con una sua autonomia, con regole che in massima parte vengono rispettate, e non un guazzabuglio informe o un italiano scorretto o corrotto o storpiato dalle classi culturalmente più arretrate: parlare in dialetto è per un dialettofono un processo spontaneo e non necessita di un insegnamento scolastico. Un analfabeta non sa né leggere e né scrivere, ma impara a parlare qualsiasi lingua applicando inconsciamente regole che non conosce. Al contrario scrivere e leggere il dialetto ha sempre costituito un problema anche per la difficoltà di rappresentare graficamente i vari suoni vocalici e per la carenza di una corretta competenza grammaticale e fonetica. Prima delle ricerche di Friedrich Schürr risalenti ai primi decenni del XX secolo gli unici cenni di fonetica sono rappresentati dalle proposte di trascrizione delle vocali e delle consonanti ad opera dei due maggiori vocabolaristi dialettali ottocenteschi, il Morri e il Mattioli, i quali, pur ricorrendo a segni diacritici non sempre concordanti con quelli di norma usati dagli autori moderni, rivelano una fonetica sostanzialmente equivalente a quella del dialetto novecentesco.