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Mèmoires (1967-2007). Cronistorie d'arte contemporanea

Gangemi Editore

Edited by Capriccioli F. and Schroth M. A.
Roma, 2008; paperback, pp. 256, ill., cm 17,5x24,5.
(Arti Visive, Architettura e Urbanistica).

series: Arti Visive, Architettura e Urbanistica

ISBN: 88-492-1482-0 - EAN13: 9788849214826

Subject: Collections,Essays (Art or Architecture),Graphic Arts (Prints, Drawings, Engravings, Miniatures),Painting,Sculpture

Period: 1960- Contemporary Period

Languages:  italian text  

Weight: 0.816 kg


C'è un luogo a Roma che non ha barattato l'arte per la banalità odierna degli imperativi mercantili. Non è il solo, ma è tra quelli che resistono.
E non è cosa da poco.Damolto tempo, pensatori e teorici -Habermas e Jameson a Baudrillard eVirilio - hanno denunciato unmondo dell'arte diventato 'sistema' chiuso anche se, paradossalmente, condizionato dalla cultura mediatica di massa. Un 'sistema', che ha fagocitato visioni e utopie riproponendole in un frullato di simulacri, pastiches emode che hanno banalizzato linguaggio e forme.Molto è stato scritto su questa fase post-moderna in cui ci troviamo immersi sino al collo. Quale che sia la lettura proposta, dalla più pessimista alla più amena, c'è poco da star allegri. Diciamolo pure, siamo saturi di discorsi sull'arte che non coinvolgono più nessuno, di luoghi che sembrano caricature da supermercato, di produzioni ai limiti della mediocrità. Vorremmo risvegliarci in una post-post-modernità che ci riconnetta all'arte universale e umana di questo travagliato inizio del XXI secolo!
Vorremmo pane per i nostri denti, qualche visione radicata negli archetipi dell'animo, un'idea sinceramente 'internazionale' e non falsamente 'globalizzata' dell'arte, dei sogni senza ipoteche e degli spazi come laboratori.Troppo?No. La pretesa è legittima. Alcuni teorici, come Fredric Jameson, hanno ipotizzato la fine dell'arte occidentale: giochi tecnologici, eccesso d'immagini, mercificazione e 'messa in spettacolo', avrebbero logorato il rapporto col reale, la sua poetica, la percezione della storia. Noi, speriamo che si sbaglino! L'arte si trasforma, si rifugia nella periferia del sapere, negli studi d'artista, nelle imponderabili vie della creazione e, ai tempi d'oggi, soprattutto resiste. È riconfortante, allora, che esiste una rete transnazionale di spazi e luoghi che fungono da laboratorio per un lavoro pensato e sentito. Tra questi spazi e luoghi, a Roma, c'è Sala 1. Da quasi vent'anni mantiene salda la sua rotta nelle difficili acque delmondo culturale. Senza trasformarlo in luogo patinato e anonimo, Sala 1 'abita' (su lungimirante concessione) un ambiente singolare, saldo di memorie, a ridosso di spazi antichi e sacri, dove il passato accoglie il presente senza nascondere le tracce del tempo.
D'altronde, non possiamo capire dove andiamo se non sappiamo da dove veniamo. Sotto la tenace, responsabile Sala 1 non hamai cessato di proporre, organizzare, partecipare, cercare fondi, trovare soluzioni, aprirsi ad esperimenti inediti e, cosa importante, entusiasmarsi volgendosi verso ampi orizzonti. Con grande impegno, si è aperta a molteplici ricerche; da eventi volti all'integrazione di varie forme d'arte (pittura, poesia,musica, teatro), amostre antologiche .Mary Angela ha presentato serate bellissime e artisti di talento che altrove non avrebbero trovato simile consapevole attenzione. A Roma, sono poche le gallerie che accettano il rischio di fungere da laboratorio d'entusiasmi. Poche quelle che hanno perseverato, senza gettare la spugna, nel percorso aperto dalle grandi visioni del XX secolo assumendone la lezione e ilmessaggio.
Poche le gallerie che, come Sala 1, hanno osato esporre, a pari merito degli artisti italiani, anche artisti dell'Est, del Vicino Oriente, delle Americhe e, soprattutto, d'Africa. D'altronde, sono poche anche nel resto d'Italia, e il bilancio di Sala 1, con i tanti progetti ai quali ha aderito e collaborato in tutti questi anni, anche fuori Roma, con le suemostre e una lunga lista d'eventi, incontri e documentazioni, rappresenta un esempio d'onesto coraggio, un lavoro nel campo dell'intercultura che onora lo spirito cosmopolita. Salutiamo, dunque, in Sala 1 un laboratorio aperto che è riuscito, con i suoi mezzi e le sue forze, a mantenere viva una certa idea dell'arte e degli artisti. Con i tempi che corrono, è molto. Un bilancio di tutto rispetto.

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design e realizzazione: Vincent Wolterbeek / analisi e programmazione: Rocco Barisci