Douglas Gordon an Jonathan Monk: leon d'oro
Mousse Publishing
Edited by D'Argenzio M.
Napoli, Fondazione Morra Greco, 20 febbraio - 20 maggio 2009.
Multilingual Text.
Milano, 2010; bound, ill.
ISBN: 88-96501-12-1 - EAN13: 9788896501122
Subject: Essays (Art or Architecture),Monographs (Sculpture and Decorative Arts)
Period: 1800-1960 (XIX-XX) Modern Period,1960- Contemporary Period
Languages:
Weight: 1.1 kg
Su tre piani di quella che fu la Pinacoteca del palazzo dei principi Caracciolo di Avellino, sul decumano maggiore, su buona parte degli oltre duemila metri quadri su cui si estende la Fondazione, Leon D'Oro è stata affollatissima nel suo opening. Come raramente accade a Napoli, il pubblico degli art addict si è mescolato a persone di ogni età e provenienza.
A piano terra una coppia di tatuatori ha eseguito live una frase lunga un avambraccio ad Alessia Evangelista, office manager della Fondazione voluta dal medico napoletano Maurizio Morra Greco (che dedica la struttura e la sua collezione prevalentemente ad artisti giovani e giovanissimi). E che frase. Appassionata di tatuaggi, Evangelista ha scelto "La vita è uno stato mentale" citazione conclusiva di un noto film (Oltre il Giardino con Peter Sellers). Consultatasi con Douglas Gordon, che insieme a Jonathan Monk (entrambi in livrea da cameriere) serviva da bere nella sala successiva, la giovane manager dell'arte napoletana ha deciso di usare la sua scrittura per il tatuaggio e non un font che era già presente negli archivi digitali dei siti specializzati. Leon D'Oro è un ristorante che davvero esiste a Napoli. I due artisti, che prendono a pretesto la città ed il suo disastrato tessuto socio-economico per incontrarsi, fanno di un pranzo il cuore della mostra. Ne sezionano ogni pietanza e la trasformano in una scritta al neon (soprattutto il liquid lunch: campari, vino bianco, caffè, macchiato, espresso svettano su pasta e fasuli, pasta e vongole, zeppulelle e antipasti vari). Le scritte-pasti sono ubicate a piano terra (e temporizzate a seconda del tempo impiegato a mangiarle/berle.
douglas_gordon-jonathan_monk2Sopra, al primo piano, una serie di proiezioni, i film a quattro mani Sublimations of Desire (2008), superbamente diffuse nello spazio ancora non restaurato della fondazione, ritraggono altrettanti generi di consumo (latte, caffè, birra di due tipi, due flutes di champagne) nell'atto che precede il loro consumo. Le proiezioni (in pellicola) raffigurano la bevanda mentre si versa. Si assiste alla desiderabilità del genere ed al suo sfiorire, come nel caso dello champagne che sbolle e della birra che perde la sua coolness, quella che possiede solo se appena aperta. Estetizzare il desiderio attraverso il consumo.
Per la prima volta collaborano insieme, per la prima volta su Napoli. Il terreno comune da cui sono partiti è il cibo, che amano entrambi. Spazio e tempo sono spesso il loro soggetto ossessivo. A Napoli è il piacere dell'improvvisazione e lo spirito dei primi instruction pieces che torna di nuovo ad occupare la scena. Poiché l'intera vicenda artistica dei due parte proprio da quella esplorazione dell'arte come idea che ha origine nel lavoro di artisti dell'Arte Concettuale degli anni Sessanta e Settanta. Dicono dalla Fondazione: "Un antidoto all'insopportabile luogo comune della mozzarella e del Vesuvio".
La piece più suggestiva è stata sicuramente la performance della prima sera: i due artisti, in piedi dietro ad un piano amorevolmente suonato senza sosta, servivano da bere a tutti quelli che entravano. La performance, dice Gordon, era progettata all'inizio per essere situata nello splendido largo di via Avellino a Tarsia (oscenamente deturpato da un parcheggio abusivo). Il pianoforte doveva suonare, permettere l'offerta rituale dei drink e poi bruciare. Ovviamente per motivi di ordine sociale, la Fondazione non ha proceduto nella richiesta degli artisti a ubicare la performance nello spazio pubblico. E ben avevano ragione: la notte dell'inaugurazione, la Fondazione ha subito anche un furto di alcuni dei film (pellicola e proiettore). Prontamente rimpiazzati per permettere ai numerosi visitatori del giorno successivo di vederli, hanno comunque ferito il collezionista e gli artisti, ricordando - come ce ne fosse ancora bisogno! - che città perduta è Napoli.